Corriere della Sera, 20 novembre 2022
Le divisioni sulla manovra
Se tre indizi sono una prova, quattro sono il sintomo che la maggioranza e il governo arrivano alla legge di Bilancio percorsi da divisioni, incertezze e una certa dose di caos su tutti i dossier del programma elettorale. Le false partenze delle ultime ore in effetti sono state almeno quattro, per stare solo alle più evidenti.
Il primo equivoco si sta ancora consumando e riguarda l’ipotesi di eliminare l’imposta sul valore aggiunto al 4% sugli alimenti essenziali. Dopo il vertice di maggioranza di venerdì è stata accreditata da più parti e ancora ieri Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera di Forza Italia, annunciava: «La prossima manovra prevedrà la cancellazione dell’Iva per il pane e il latte». Peccato che niente di tutto questo risulti al ministero dell’Economia, dove si sta scrivendo la legge di Bilancio per il varo in Consiglio dei ministri previsto (in teoria) domani.
Parte della spiegazione dev’essere nel ruolo che Giancarlo Giorgetti è venuto assumendo sempre di più: quello dell’uomo che richiama la maggioranza, se non all’ordine, almeno all’idea che occorre scegliere. Il ministro dell’Economia ha spiegato a più riprese in questi giorni che per tutti i capitoli della manovra le risorse vanno trovate all’interno del perimetro delle misure destinate a ciascuna area. Per Giorgetti, è il solo modo di contenere il deficit. Se dunque si vuole impegnare quasi mezzo miliardo di euro nel togliere l’Iva sugli alimenti essenziali (ammesso che Bruxelles consenta di cancellare questa imposta) allora altre misure per le famiglie devono cadere. E viceversa. Lo stesso del resto vale per altri dossier simbolici, inclusa l’aspirazione diffusa nella maggioranza di mostrarsi generosi verso pensionati o pensionandi.
Forza Italia si batte per l’aumento degli assegni di quiescenza più bassi, la Lega per il sistema delle cosiddette «quote» che potrebbe aprire una finestra per il ritiro a 62 anni con 41 anni di contributi. Entrambe le ipotesi sono destinate ad appesantire ancora di più una dinamica che vede già il boom del costo delle pensioni di 58 miliardi (più 19,5%) al 2025, compensato nei numeri del governo solo con un taglio della spesa sanitaria del 15%. Giorgetti ha spiegato a tutti che sulle pensioni va scelta l’una o l’altra opzione, quella della Lega o quella di Forza Italia.
L’industria
Le incertezze sui grandi dossier urgenti di politica industriale: Priolo, Taranto, i chip
Ma appunto questo non è stato il solo giallo di una legge finanziaria che sta diventando un percorso sempre meno lineare. Lo stesso ministro dell’Economia ha toccato con mano la seconda falsa partenza di questi giorni. Preoccupato che le pensioni a «quota 41» accelerino l’uscita dal sistema produttivo di competenze difficilmente sostituibili, Giorgetti pensava a incentivi per far restare più persone al lavoro. Solo per essere pubblicamente contraddetto da Claudio Durigon, sottosegretario alle Politiche sociali e anche lui leghista come il ministro.
Terzo caso conteso, il progetto nelle ultime ore decollato e poi abbattuto di una misura per il rientro dei capitali in nero all’estero. L’idea prende forma nel ministero dell’Economia in riunioni convocate da Maurizio Leo di Fratelli d’Italia, viceministro con delega alle Finanze, nei giorni in cui Giorgetti e la premier Giorgia Meloni sono a Bali per il G20. L’attivismo di Leo ha generato tensioni nel ministero e qualcuno – difficile dire se a ragione – lo ha attaccato per la ritrosia a condividere le informazioni. Di certo le misure per il rientro dei capitali sono state fermate (per ora), a quanto pare dalla stessa Meloni: resta da capire da dove verrebbero i due miliardi di entrate che avrebbero assicurato.
E ancora. Prima di partire per il G20 la premier aveva spiegato alle parti sociali che non sarebbe stato possibile ampliare di molto il taglio al cuneo fiscale sul lavoro, perché andava finanziata la cosiddetta «flat tax incrementale»: l’idea di introdurre un’aliquota ridotta per i redditi supplementari delle imprese. Ma giusto il tempo di tornare dall’Indonesia, per la premier, e la «flat tax incrementale» era sparita dall’agenda (ma un vero taglio al cuneo non è mai apparso). Né può contare come visione strategica per la sua prima legge di Bilancio, l’idea di Meloni di introdurre una «Amazon tax» sui pacchetti dell’e-commerce. Stesse incertezze si notano sui grandi dossier urgenti di politica industriale – la raffineria di Priolo, l’acciaieria di Taranto, l’investimento di Intel nei microprocessori in Italia – dove l’assenza di scelte politiche rallenta le soluzioni: sull’orlo di una recessione, non esattamente quello che serve.