Corriere della Sera, 20 novembre 2022
La manovra prudente di Giorgetti
Poi tocca fare i conti con i numeri, che sono spietati. Il disegno di legge di Bilancio che il governo si appresta a varare è all’insegna della prudenza e del pragmatismo, come ha spiegato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Sembra passata un’era geologica da quando il suo capo, Matteo Salvini, riteneva urgente e improrogabile un fantasmagorico extra deficit di bilancio. Quella che una volta si chiamava Finanziaria e poi legge di Stabilità (denominazioni mutate per l’integrazione nell’Unione monetaria, particolare che si dimentica spesso) alla fine conterà su poco più di 30 miliardi. Due terzi andranno, obbligatoriamente, ad alleviare (allargando la platea dei beneficiari) le bollette energetiche. Una buona quota della parte restante coprirà spese per misure già in essere. Dunque per quelle nuove, i cavalli di battaglia della campagna elettorale, rimane assai poco: uno sforzo di buona volontà, una spruzzatina simbolica di risorse. L’obiettivo politico, ovviamente, è quello di realizzare i programmi in un’intera legislatura ma la realtà iniziale è più dura e meno seducente di uno slogan identitario. Certo, il tempo per scrivere la legge di Bilancio non è mai stato così esiguo, i limiti di Bruxelles noti (lo erano anche prima). Una corsa affannosa.
M a colpisce un discreto grado di continuità con le scelte del governo precedente.
La «regola Giorgetti», come l’ha definita su queste colonne Enrico Marro, introduce poi una variante austera, in sintonia con la mal digerita – nel centrodestra – riforma dell’articolo 81 della Costituzione. Ogni minore tassa deve essere coperta con tagli alle spese o nuove entrate nella stessa materia, dice Giorgetti. Un’affermazione sideralmente lontana dalla narrativa elettorale del prelievo fiscale da abbattere subito, con un taglio netto, costi quel che costi. Persino in materia pensionistica i proclami roboanti contro l’odiata legge Fornero si sono infranti con l’esiguità delle risorse. L’ipotesi di mandare in pensione chi ha 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età, è rimandata a tempi migliori. Insieme alla proroga di Ape sociale e Opzione donna, si ragiona su quota 103 (62 anni e 41 di versamenti).
La bozza di legge di Bilancio, per quel che trapela, contiene alcuni interventi urgenti a favore della parte della popolazione più debole e colpita dalla crisi, come per esempio l’aumento dell’assegno universale per le famiglie numerose. L’annunciato taglio del Reddito di cittadinanza agli «occupabili» si scontra con difficoltà tecniche e con qualche timore di reazione sociale che certo non scomparirà tra qualche mese. C’è l’ipotesi, che ieri però sembrava allentarsi, di un azzeramento dell’Iva su alcuni beni di prima necessità. Intervento che sarebbe agevolato dai maggiori incassi fiscali legati, oltre che all’inflazione, alla fatturazione elettronica. La riduzione promessa di cinque punti del cuneo fiscale (due terzi a beneficio dei lavoratori e un terzo alle aziende) è in parte rinviata. Si prorogheranno, probabilmente, i due punti varati solo per quest’anno dal precedente esecutivo, con una maggiore attenzione – assicura Giorgetti – per i redditi più bassi.
La flat tax o tassa piatta verrà innalzata, per gli autonomi e le partite Iva, da 65 a 85 mila euro di fatturato, spostando in avanti la soglia in cui è forte l’incentivo al nero. La tassa sugli extraprofitti è confermata, anche nelle incertezze di riscuoterla. Quella ventilata sulle consegne dell’e-commerce (Amazon tax) solleva molti dubbi su chi poi alla fine dovrebbe pagarla (i consumatori? i trasportatori?). Nessun condono, no a una riedizione dello scudo fiscale per il rientro dei capitali. Probabili sconti per le rottamazioni delle cartelle esattoriali di minor valore. Si premiasse così chi paga regolarmente i propri tributi, forse saremmo un Paese migliore.
Giorgia Meloni è però fortunata. I prezzi dell’energia e delle materie prime sono in discesa. La pressione dell’inflazione si allenta. Il rischio che i 20 miliardi per alleviare le bollette non possano bastare (il governo Draghi ne impiegò 60 fuori bilancio) è meno alto. La recessione, visto il buon andamento delle esportazioni (mai così bene, anche in volume) e la vivacità dei servizi, non è così tanto sicura. L’obiettivo di deficit del 2023 (4,5 per cento), su cui è costruita l’intera manovra, potrebbe rivelarsi una maglia meno stretta. La prudenza di bilancio paga in termini di credibilità, di fiducia sui mercati, e di spread più basso. L’avessero detto in campagna elettorale…