Dagonews, 19 novembre 2022
BELLA VITA E SOLDI ALTRUI DI FRANCESCO PIRANESI - IL FIGLIO DEL CELEBRE INCISORE DELLE “VEDUTE DI ROMA”, CHE SONO APPESE ANCHE ALLE PARETI DEL QUIRINALE, FACEVA LA SPIA AL SERVIZIO DEL RE DI SVEZIA UTILIZZANDO SUO ZIO, CHE FINI’ IN CARCERE AL MASCHIO ANGIOINO - PAPISTA PRIMA E GIACOBINO POI, FRANCESCO PIRANESI (FIGLIO DI GIOVANBATTISTA) DIVENNE UNO DEGLI UOMINI DI FIDUCIA DI NAPOLEONE E FINI’ ESULE IN FRANCIA, DOVE FECE FALLIRE UNA MANIFATTURA - COME TUTTI GLI ITALICI FIGLI DI PAPA’ PASSO’ LA VITA TRA PROGETTI GRANDIOSI E CATASTROFICI FALLIMENTI – IL LIBRO DI PIERLUIGI PANZA -
Le trovi al Quirinale, nelle accademie, negli studi degli avvocati, negli hotel di Roma… le favolose incisioni di Piranesi, la cui “mente nera” (Marguerite Yourcenar) aveva una fantasia “da far sussultare le Indie” (Tomas De Quincy in “Confessioni di un mangiatore di oppio”) sono in così grande numero anche perché le loro numerose tirature servirono per ripianare i debiti lasciati dal suo primogenito maschio, Francesco.
Un personaggio eccezionale, studiato ora, per la prima volta, dal critico d’arte Pierluigi Panza (“Nel nome del padre. Le molte vite di Francesco Piranesi”, Memorie dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti), ma che finì talmente in miseria a Parigi nel 1810 da dover mettere all’asta tutto il ben di Dio che il padre aveva messo insieme partendo da zero, essendo il figlio di uno spaccapietre veneziano.
Nella sua vita, questo Francesco Piranesi fu persona importante e protagonista in mille attività legate al mondo dell’arte. Continuò l’attività del padre come calcografo e restauratore, fu antiquario art-dealer, archeologo, collezionista, editore, commerciante, agente per le antichità al servizio del re di Svezia, poi Commissario economico di Napoleone, ma anche professore, giornalista, poligrafo e infine avviò una accademia e una manifattura a Parigi, dove era esule con il fratello, che lo portarono al fallimento.
Nel 1793, Francesco si trovo invischiato in una delle più travagliate vicende della sua vita, che mise fine ai rapporti con la Svezia. Dopo l’assassinio di Gustavo terzo (quello del “Ballo in maschera” di Verdi), fu incaricato dal Reggente di Stoccolma, di inseguire nel Regno di Napoli il reazionario barone Gustavo d’Armfelt, un nobile che sarà tra i fondatori della Finlandia. A spiarlo, Francesco ci mandò due fratelli aiutanti di bottega e l’anzianotto zio. Due dei tre furono catturati dal re di Napoli, finirono in gattabuia e lo zio morì.
Dopo aver innalzato l’albero della libertà in Roma per Napoleone all’arrivo di inglesi e napoletani fu costretto a lasciare la città, portando con sé i rami del padre mentre aveva già svenduto il museo di antichità paterno. Esule a Parigi, per quanto sostenuto dai Bonaparte, non ne azzeccò una e nel 1810 morì con così tanti debiti che furono messi all’asta i rami paterni e tutto quanto la famiglia aveva accumulato in due generazioni.
L’editore francese Firmin-Didot comprò i rami per saldare qualche creditore e incominciò a tirare nuove stampe che oggi, per chi le compra, si possono distinguere in genere per la presenza di numeri progressivi in alto a destra (valgono un po’ meno). Fu il papa, a metà Ottocento, a riacquistare tutti i rami che restavano, che entrarono così a far parte dei tesori vaticani e poi finirono alla Calcografia nazionale di Roma, di fianco alla Fontana di Trevi. Da allora i rami non sono mai stati ristampati ed ora è in corso il loro restauro.