Corriere della Sera, 19 novembre 2022
Giurare o no per il fascismo
Caro Cazzullo,
lei scrive che non tutti gli italiani sono stati fascisti. Come spiega allora che solo dodici professori universitari rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo?
Franco Grosso, Milano
Caro Grosso,
pubblico la sua lettera perché è garbata. Da giorni sono sepolto da insulti e invettive – via social, mail, carta – di difensori della X Mas. Non la X Mas di Luigi Durand de la Penne, l’eroe di Alessandria d’Egitto, fedele al re, vero patriota, resistente all’invasore nazista come migliaia di militari appartenenti a decine di reparti. La X Mas del principe Borghese. Quelli che tracciavano la X sul petto dei prigionieri, bruciarono i paesi di Guadine (dove uccisero tredici innocenti), Gronda, Redicesi, Resceto, Forno di Massa (68 vittime), mutilarono Ferruccio Nazionale e ne esposero il cadavere. Sono i torturatori a infangare la memoria degli eroi; non chi testimonia le torture.
Sapevo che in Italia ci sono ancora i fascisti, i filofascisti, e coloro – la maggioranza – che non hanno un giudizio negativo del fascismo. Sapevo che ci sarebbe stato un prezzo da pagare; ma non pensavo fosse così gravoso. Per questo non affronto più il tema fascismo-antifascismo, anche per non ripetere ogni volta un’ovvietà cui sembra non credere nessuno, che essere antifascista non significa essere comunista. Rispondo però volentieri alla sua domanda. A parte che a non giurare furono più di dodici (all’elenco tradizionale vanno aggiunti professori che andarono in pensione anticipata o optarono per incarichi che già avevano all’estero), facciamo quello che i critici mi accusano di non fare: contestualizziamo. Non è che giurare o non giurare fosse una libera scelta, uno sfizio. Non è che se uno non giurava tornava a casa tutto contento. Perdeva la cattedra, il lavoro, lo stipendio, veniva segnato a dito per la vita come nemico del regime, e a casa poteva tranquillamente trovare una squadraccia pronta a bastonarlo dieci contro uno. Non so se lei riesce a immaginare cosa significa essere bastonati da dieci o più persone. Accadde a Piero Gobetti, a Giovanni Amendola, a Giacomo Matteotti, a Sandro Pertini, a don Minzoni (nessuno di loro era comunista), a migliaia di altri italiani, prima e dopo la marcia su Roma. Pensi cosa significa essere bastonati da dieci persone e non poterle denunciare; perché chi dovrebbe raccogliere la denuncia sta dalla loro parte, non dalla tua. Francesco Ruffini era stato aggredito tre anni prima; eppure nel 1931 rifiutò di giurare, e con lui suo figlio Edoardo. Neanche Ruffini era comunista; era uno studioso di Cavour, un amico di Croce, era stato rettore dell’università di Torino prima della guerra, tra i suoi allievi c’erano Gobetti, Alessandro Galante Garrone, Arturo Carlo Jemolo, il meglio della cultura italiana. A Torino non giurò neppure Lionello Venturi, che andò a insegnare prima a Parigi poi in America, alla John Hopkins. Ma Venturi era uno dei critici d’arte più importanti d’Europa. Piero Sraffa era già stato chiamato da Keynes a Cambridge, dove si era legato a Wittgenstein, e si dimise dall’università di Cagliari. Ma non tutti i professori italiani potevano andare a insegnare in America o a Cambridge. E non sapevano che il fascismo sarebbe finito dodici anni dopo. I fuoriusciti in Francia vivevano nella miseria, Pertini era un avvocato ma faceva il muratore, la moglie di Giuseppe Di Vittorio morì per una malattia non curata. E sa cosa fa più male, gentile signor Grosso? Non soltanto queste cose non sono conosciute; non importano quasi a nessuno.