Corriere della Sera, 19 novembre 2022
I cinesi che strisciano e altre fantasie dei contestatori
«La fantasia distruggerà il potere e una risata vi seppellirà»: lo gridavano i ragazzi nel Maggio 1968. La frase è attribuita al filosofo anarchico dell’Ottocento Mikhail Bakunin. La protesta assume spesso forme creative, usa l’arma dell’ironia per esprimere disagio, delusione e ribellione «al sistema». Nell’era dei social queste contestazioni corrono, si trasformano in «meme» che spuntano in Paesi lontani.
L’ultimo caso è emerso in Cina: una sfida strisciante (letteralmente) che si sta diffondendo nei campus universitari, dove da alcune settimane gli studenti si riuniscono di notte, si mettono in cerchio, si chinano a quattro zampe e avanzano strisciando. Un movimento a circolo chiuso, senza sbocchi. È la risposta dei giovani alla politica Zero Covid che continua a imporre lockdown e restrizioni a milioni di cinesi. È bastato un solo contagio accertato l’altro giorno alla Peking University per chiudere a chiave i cancelli e confinare all’interno studenti e professori.
Va avanti così dal 2020 e un’intera generazione di studenti cinesi si sente derubata degli anni più felici, quelli in cui si socializza prima di cominciare a lavorare. «Strisciare insieme è un rito collettivo, usiamo il nonsenso contro il nonsenso che ci circonda», si legge sotto un post che mostra un circolo di ragazzi che si muove poggiandosi su gomiti e ginocchia.
Un’altra attività di sfogo lanciata dagli studenti pechinesi: ritagliare nel cartone figure di animali domestici, metterli al guinzaglio e portarli a spasso, oppure allinearli di fronte ai dormitori.
Fu una sfida creativa anche quella sbocciata a Hong Kong nel 2014, quando i manifestanti democratici alzarono una foresta di ombrelli gialli per ripararsi dai lacrimogeni della polizia. Un celebre meme sul web colorò di giallo anche l’ombrello di Xi Jinping sotto la pioggia.
Nel 2020, migliaia di universitari thailandesi protestarono contro la giunta militare indossando sciarpe gialle e rosse di Hogwarts, in pugno la bacchetta di Harry Potter, ai piedi foto di Lord Voldemort, «Colui che non dev’essere nominato»: in riferimento al generale golpista Prayuth Chan-o-cha e al re. Nel Myanmar (ex Birmania), la protesta contro i generali nel 2021 si è identificata nel saluto con tre dita unite, ripreso dai film Hunger Games. Il gesto è stato arricchito tenendo in mano un ovetto.
Sono immagini tragiche di questi giorni quelle delle donne iraniane che si sono tagliate ciocche di capelli in segno di lutto per Mahsa Amini, uccisa dalla «polizia della moralità» perché non indossava bene il velo. Sono state imitate in tutto il mondo.
Sono finite in carcere a Mosca le Pussy Riot, tre giovani femministe che nel 2011 entrarono incappucciate nella cattedrale di Mosca con la loro musica rock e intonarono una preghiera contro Vladimir Putin. Hanno avuto i loro giorni di notorietà globalizzata le Femen partite dall’Ucraina nel 2008, che esibivano il seno nudo per risvegliare le coscienze contro turismo sessuale, sfruttamento della prostituzione. E potere.