20 ottobre 2022
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Biografia di Virginia Zeani (Virginia Zehan)
Virginia Zeani (Virginia Zehan), nata a Solovăstru (Romania) il 21 ottobre 1925 (97 anni). Soprano. «Dentro mi sento una cinquantenne, fuori una settantenne, ma il mio cervello crede che io sia eternamente giovane» (Virginia Zeani, alla vigilia del novantesimo compleanno) • «Io da quando ho avuto voce mi ricordo di aver cantato. Mi rivolgevo alla mia mamma cantando, e quando (essendo una bambina molto vivace) venivo sgridata scappavo in giardino e cantavo sempre. Fino a che, a tredici anni, ho cominciato a studiare, contro la volontà dei miei. Questo perché loro erano persone semplici, che non avevano grandi pretese e si sarebbero accontentati che io avessi fatto bene il liceo e basta. Io invece avevo questa grande passione. Loro non avevano i soldi per pagarmi le lezioni e ritenevano che il canto non mi avrebbe offerto la possibilità di avere un lavoro sicuro. Allora ho cominciato a cantare in un coro, dove mi pagavano, e con quei soldi ho pagato le lezioni di canto. Ho iniziato come mezzosoprano. Non bisogna poi dimenticare che in quegli anni c’era la guerra, l’invasione tedesca prima e poi l’invasione russa con il comunismo. Nel frattempo io sono riuscita a prendere la maturità e mi sono iscritta a Lettere e Filosofia, perché i miei genitori volevano che io continuassi a studiare. Però io già cantavo e imparavo a memoria le opere. Quando ho avuto la possibilità di uscire dal mio Paese per studiare canto, grazie a una borsa di studio di 500 lire, il governo russo voleva che io andassi a Mosca o in Bulgaria. Io invece ho deciso di andare in Italia» (a Francesco Lodola). «“Il sogno di studiare in Italia, ce l’avevo da molto tempo. Mio padre mi aveva raccontato dell’Italia come del posto più bello al mondo. In più, l’Italia era la patria dell’opera, l’epicentro dell’arte alla quale volevo dedicarmi. Ma c’era un altro motivo che, a quell’età, era importante quanto gli altri: ero innamorata di un italiano. Un bel ragazzo. Io avevo 16 anni e lui 18. Con lui avevo cominciato a parlare l’italiano e lui mi correggeva – mi dava lezioni, senza che me ne accorgessi. Anche lui aveva la passione della musica, ma era piuttosto filosofo. Era studente di Lettere e Filosofia. Si chiamava Nino Ghezzi. Per anni l’ho sognato…”. A Milano è arrivata a conoscere il suo idolo, Aureliano Pertile. […] Com’è arrivata da lui? “Alcuni giorni dopo l’arrivo a Milano, conobbi il colonnello Giovannini e sua moglie. Due persone ammirevoli. Lui era colonnello in pensione, viveva modestamente insieme alla moglie e non avevano figli. Mi comprarono un regalo che non dimenticherò mai: il mio primo cappotto in Italia. Ne avevo un grande bisogno. Poi, furono sempre loro a portarmi per la prima volta in Svizzera, dove mi comprarono della cioccolata. Quando sentirono che avevo una buona voce, mi pregarono di cantare per loro e poi mi invitarono a mangiare da loro. Parlando di musica, lui disse a un certo punto: ‘Il nostro miglior amico è Aureliano Pertile. Hai mai sentito parlare di lui?’. Non riuscivo a crederci. Dissi loro che era il mio idolo e che il mio più grande desiderio era quello di poter fare lezioni con lui. È stato Dio a spingermi verso queste persone molto amiche di Pertile. […] Alla fine della serata mi diedero il suo indirizzo. L’ammirazione enorme che avevo per lui mi diede il coraggio pazzo di vincere la mia timidezza e di andare da sola a casa sua. Suonai alla porta, e chi venne ad aprirmi? Aureliano Pertile in persona. Quando lo vidi, scoppiai in lacrime. L’emozione era così forte che cominciai a piangere e non potevo più dire nulla. Lui era scioccato: ‘Che è successo? Entri pure!’. Sua moglie era dietro di lui. […] Infine, mi ripresi e dissi loro che l’emozione di vederli era grandissima, che ero una cantante della Romania, che avevo ascoltato a Bucarest i suoi dischi e lo ammiravo moltissimo”. […] E gli disse allora che era un giovane soprano che voleva fare lezioni con lui. “No, gli dissi che volevo un consiglio. Mi fissò un appuntamento per il giorno dopo, quando ci sarebbe stato anche il pianista. Così vi andai e cantai per la prima volta La bohème, che sapevo già a memoria. ‘Bellissima voce, con molti colori: dobbiamo lavorare sulla dizione’. Poi gli cantai La traviata. ‘Ho cantato Traviata – mi diceva lui – con la miglior Violetta dei miei tempi, Claudia Muzio’. E mi diceva che dal punto di vista tecnico, non avevo problemi, ogni nota era al suo posto, tutto andava bene. Diceva che dovevamo lavorare un po’ sul legato e sulle doppie delle parole italiane”. Così ha cominciato a fare lezioni con Pertile. Quanto pagava? “Non mi ha mai chiesto soldi, però facevo delle maglie a donna Italia. Lavoravo molto bene”. Quali sono le cose più importanti che ha imparato da Pertile? “L’importanza della frase musicale intera, che, con lo studio, ho adattato alle mie qualità. Ho formato il mio gusto musicale con Pertile, ho capito come cantavano gli altri. […] Pertile è stato la persona che ha avuto il più grande influsso sull’intellettualità della mia voce. Lui mi ha fatto capire non solo come cantare, ma anche perché dovevo cantare in un certo modo e, soprattutto, che senso aveva cantare”» (Sever Voinescu). «“Pertile […] mi insegnò a lavorare sui colori che esprimono il senso delle parole secondo il loro contesto e lo stile dell’opera. Avevo preparato Traviata con la Lipkowska, ma con Pertile lavorammo sul lato eroico dell’animo di Violetta, sul suo coraggio, ma senza alcuno stridore nel suono. Poi, per Mimì, lavorammo sul legato, che permette i diminuendo e i crescendo che sono necessari. Pertile mi mostrò che non basta alla voce essere pesante o leggera; deve anche essere ‘nel mezzo’, e questa parte della voce – il medium – va sviluppata finché si è giovani. È dal mezzo che raggiungi la stratosfera e i momenti drammatici. A 21 anni la mia voce non era drammatica per Violetta, ma a Pertile dissi che cercavo di esprimere la sua anima e lui capì: mi mostrò come ottenere questo quando si è giovani”. A Milano in quella fine degli anni Quaranta la Zeani studiò con i più leggendari maestri ripetitori della Scala: Antonio Narducci, Eduardo Fornarini, Leopoldo Gennai, Antonio Tonini. Contemporaneamente si iscriveva alla Cattolica di Milano, in Lettere e Filosofia. Il 16 maggio ’48 Virginia Zeani debuttava in Traviata a Bologna accanto ad Arrigo Pola, in sostituzione della Carosio. Le affidarono una trentina di recite, e in quel ruolo si sarebbe esibita tutte le stagioni dal ’48 al ’73, per un totale storico di 648 recite. Una Violetta di riferimento, affascinante, ricca di pathos, cronologicamente parallela a quelle più celebri nel lungo arco che va dalla Albanese alla Sills» (Gina Guandalini). «Dopo Traviata ho cominciato a debuttare in tantissimi ruoli, Marguerite nel Faust, Micaela in Carmen, Nedda in Pagliacci e tanti altri, fino al 1952, quando ho debuttato a Firenze in Elvira de I puritani. Tutto quello che mi chiedevano, in due o tre settimane era pronto. Ho una memoria “feroce” ancora oggi, ed è una cosa importantissima nella mia vita». «Nel gennaio del ’50 la Zeani andò in tournée in Egitto con Beniamino Gigli, debuttando così nell’Elisir d’amore accanto al mitico tenore. Aveva 24 anni, Gigli era sessantenne. Alla fine dell’opera Nemorino abbraccia Adina, e lui le disse: “Cara mia, sai che cosa ci divide? Quaranta chili e quarant’anni! Senza quelli, ti potrei abbracciare con molta più facilità…”. Due anni dopo Virginia sostituì la Callas nei Puritani a Firenze su richiesta di Serafin, abbagliando Nicola Rossi Lemeni, che pare non fosse stato informato dell’avvicendamento. Nel ’56 fu Cleopatra alla Scala nel Giulio Cesare di Händel, con Corelli e la Simionato, e (come usava all’epoca) con Rossi Lemeni nel ruolo del titolo. Durante le prove l’affascinante basso le chiese di sposarlo; ma Virginia era troppo impegnata a preparare il ruolo di Blanche de la Force, che Poulenc le aveva personalmente chiesto di assumere nella prima mondiale dei Dialoghi delle Carmelitane alla Scala nel gennaio ’57. In seguito al successo di quella prima mondiale, Virginia disse di sì a Nicola» (Guandalini). «Nel 1954 Virginia Zeani debutta al Teatro dell’Opera di Roma con la sua Violetta, cominciando una relazione ininterrotta con questo teatro, che durerà fino al 1976. La Zeani farà a Roma quello che la Callas fece a Milano. Diventa la primadonna di casa, cantando un repertorio che va da Elvira dei Puritani, i quattro ruoli femminili de Les contes d’Hoffmann (prima artista a interpretarli tutti nella stessa sera), a Elsa di Lohengrin e Senta dell’Olandese volante. In questi trent’anni di dolce vita romana la diva romena realizzerà in particolare un’interpretazione storica, Desdemona nell’Otello rossiniano. La prima volta nel 1960 negli studi della Rai, poi in scena nel 1964 al Costanzi, nel famoso allestimento di Giorgio De Chirico, diretta da Carlo Franci. L’anno dopo sarà la sfortunata amante del Moro al Teatro Rossini di Pesaro e poi nel 1966 alla Deutsche Oper di Berlino. Interpretazione paradigmatica per la rotondità della vocalità, perfetta per i ruoli Colbran» (Lodola). «Si è ritirata nel 1982, cantando Marie ne I dialoghi delle Carmelitane di Poulenc, a San Francisco. In una carriera artistica di oltre trent’anni, ha interpretato circa settanta ruoli. […] Ma la nostra artista è soprattutto una verdiana, e la storia dell’opera, anche la più succinta, non può tralasciare la sua Traviata. […] In una carriera che ha coperto quasi tre generazioni, Virginia Zeani ha cantato con tutti i grandi cantanti del mondo – Beniamino Gigli, Franco Corelli, Giuseppe Di Stefano, Mario Del Monaco, Carlo Bergonzi, Plácido Domingo, Luciano Pavarotti, Tito Gobbi, Nicolae Herlea –, sotto le più prestigiose direzioni – Tullio Serafin, Herbert von Karajan, Zubin Mehta, Carlo Maria Giulini –, e sui più grandi palcoscenici del mondo: Roma, Milano, Vienna, New York, Parigi, Londra» (Voinescu). «Nell’81 assunse la direzione del settore canto alla prestigiosa Università di Bloomington in Indiana insieme al marito. Aveva sposato Rossi Lemeni nel ’57, e il sodalizio personale e artistico si concluse solo con la scomparsa di lui nel 1991. Del suo insegnamento ha detto: “Naturalmente si deve lavorare sull’agilità, la purezza dell’intonazione, su tutti i ‘trucchi’ dei trilli, delle roulade, dello staccato, degli attacchi. Ma i cantanti di oggi spesso scordano ciò che per me era il più importante: l’espressività, il fraseggio, l’emozione. Il mio lavoro più accanito è sempre stato sul colore del timbro insieme al legato. Persino il bel canto è qualcosa di più che bel timbro – dev’esserci la bellezza dell’espressione, non solo nella voce, ma nel viso, nel corpo, anche negli occhi”. Fino al 2004 la Zeani ha seguito un gran numero di allievi, tra i quali Sylvia McNair, Susan Patterson, Stephen Mark Brown, Vivica Genaux, Elina Garanča» (Guandalini). Ritiratasi anche dall’insegnamento, si trasferì a Palm Beach, in Florida, dove vive tuttora • «I fan l’hanno chiamata “l’Assoluta”, in un periodo in cui la Callas era “la Divina” e la Tebaldi “l’Angelo”» (Voinescu) • Un figlio, Alessandro, dal matrimonio col basso italo-russo Nicola Rossi-Lemeni (1920-1991) • «Soffre, sin da giovane, di una bronchite cronica. La sua carriera, lunga e ricca, è dunque anche un fenomeno biologico» (Voinescu) • «È stata certamente una delle grandi voci del Novecento. […] A imporla definitivamente nella galleria esclusiva delle grandi dive sono state la sua meravigliosa voce (un’emissione divina di suoni puri, impregnati della più autentica emozione e calibrati con una perfetta tecnica della respirazione – “Ho imparato moltissimo da te”, le scriveva il dio degli acuti, Luciano Pavarotti, nel 1996, dopo averle dedicato, in un concerto a Indianapolis, l’aria Donna non vidi mai dell’opera Manon Lescaut di Puccini) –, nonché una bellezza sulla linea di Elizabeth Taylor (“Personificava la bellezza del soprano d’opera”, diceva di lei il suo ex vicino e amico per sempre Federico Fellini, confessando in una lettera che la guardava al mattino, di nascosto, dalla finestra della sua villa che si affacciava verso quella di lei, mentre faceva vocalizzi)» (Voinescu). «Quella della Zeani è una voce che sa sciorinare vezzosamente le volatine e i picchiettati di Olympia, ma altrettanto aggredire con impeto le brucianti cabalette di Donizetti e Verdi. Possiede un colore intenso, un centro corposo e una capacità di accenti scaltrita, da vera dicitrice, ma con la sapienza stilistica di un’autentica belcantista. […] A tutto questo poi si deve aggiungere il fascino scenico che Virginia Zeani aveva, l’incanto della figura, il potere attrattivo di un magnete. E quegli occhi azzurri che tutti ricordano con incanto e che ancora oggi sono così vividi di entusiasmo» (Lodola) • «Una vita fatta anche di amicizie straordinarie, con Nino Rota, Roberto Rossellini, Federico Fellini, Giulietta Masina e Tyrone Power» (Lodola) • «Con Alfredo Kraus si creò un rapporto speciale. Erano entrambi giovani e belli, arditi vocalmente ed eleganti stilisticamente. Condivisero quasi duecento recite di Lucia, Puritani, Manon di Massenet, Sonnambula, e decine di Traviate. “Gli ho parlato un mese prima che morisse, nel 1999”, ha detto Virginia. “Mi disse che non riusciva a sopportare la perdita di sua moglie (avvenuta due anni prima). Come lo capivo! Anch’io, dopo la morte di Nicola nel ’91, mi chiedevo come avrei potuto andare avanti…”» (Guandalini). «Lei ha cantato con Giuseppe Di Stefano? “Ho cantato con lui in I puritani, La bohème, Lucia di Lammermoor… Con lui è successa una cosa terribile. Dovevamo cantare insieme Lucia di Lammermoor, all’Arena di Cagliari, ma non venne allo spettacolo. Mandò qualcuno dal direttore, un’ora prima, per dirgli che non era in voce e non poteva cantare. Parlai con lui, ma non ci fu verso. Abbandonò lo spettacolo”. E sul palco come era, un buon partner? Si sentiva bene con lui? “Non era un buon partner, perché non ci si poteva basare su di lui. Cantava per se stesso in primo luogo, e anche per il pubblico. Mi ricordo una Bohème che ho cantato con lui a Venezia. Alla fine del primo atto, non ha potuto fare il do naturale e l’ha fatto un’ottava più basso. Il pubblico, ovviamente, ha protestato. E lui, invece di essere un po’ imbarazzato, mi disse all’orecchio: ‘Lascio in questo momento lo spettacolo e vado al casinò’. Gli ho subito risposto: ‘Ti prego di non farlo, sennò mi rovini’. Abbiamo continuato fino alla fine, ma non mi è affatto piaciuto questo suo atteggiamento. Per fortuna, il pubblico si è di nuovo riscaldato con me e siamo arrivati al quarto atto. Nell’ultimo atto, quando stavo per morire e lui mi stringeva fra le sue braccia, mi strinse così forte che non potevo respirare. E allora, mentre lo stavo abbracciando, l’ho colpito con le unghie e gli ho detto senza mezze parole: ‘Fammi respirare’. Ma il pubblico […] lo amava. Come si fa a capire il pubblico?”» (Voinescu) • «Tra i cantanti di oggi ci sono delle voci interessanti? “Se qualcuno mi chiede consiglio, io aiuto molto volentieri i giovani. Però non molti lo fanno. Gli americani hanno le loro fantastiche scuole di musica. Poi c’è il problema della lingua. Non tutti i cantanti di oggi studiano l’italiano, che è esso stesso una musica. L’italiano è melodia, intonazione, e anche i suoi dialetti, talvolta esagerati, sono musica. Per esempio l’italiano ‘Ti amo’ è molto più poetico e morbido dell’inglese ‘I love you’. È una lingua in cui puoi esprimere con una sola parola più intenzioni ed emozioni. Pochissimi giovani si interessano al passato, sono quasi tutti proiettati solo verso il futuro, che non è da escludere, ma bisogna viverlo con la consapevolezza di migliorarsi anno dopo anno”» (Lodola) • «Sono una donna profondamente appagata. Dio è stato buono con me, e se esiste lo sarà ancora».