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 2022  ottobre 26 Mercoledì calendario

Biografia di Stephan El Shaarawy

Stephan El Shaarawy, nato a Savona il 27 ottobre 1992 (30 anni). Calciatore, di ruolo attaccante. Giocatore della Roma (dal 2021, e in precedenza dal 2016 al 2019; già Shanghai Shenhua, Monaco, Milan, Padova, Genoa) e della Nazionale italiana (dal 2012; già Under-21, Under-19, Under-18, Under-17, Under-16). Vincitore, con la relativa squadra, di una Conference League (Roma, 2021/2022), una Supercoppa italiana (Milan, 2011) e una Coppa di Cina (Shanghai Shenhua, 2019). «I consigli più preziosi sono sempre stati quelli di mio padre. Con lui ho trascorso tutta la mia carriera calcistica. Mi ha sempre seguito, ha cambiato lavoro e vita in funzione della mia carriera. Accompagnava me e altri miei compagni al campo. Ha fatto tantissimi sacrifici, e da lui ho imparato proprio questo: bisogna farne tanti, lavorare, mantenere alte le ambizioni, non accontentarsi mai. E poi rimanere umile, a prescindere dai successi» • «Nella famiglia di Stephan El Shaarawy sono tutti laureati. Suo padre, Sabri, è egiziano: si è laureato in Psicologia al Cairo e si è trasferito in Italia, a Savona, nel 1982. Lì ha conosciuto Lucia, laureata in Infermieristica, che lavora alla Asl. I due oltre a Stephan hanno un altro figlio, Manuel, che si è laureato in Economia» (Francesco Costa). «Sabri, […] prima di innamorarsi di Lucia, […] s’invaghisce del Genoa di Pruzzo e dell’atmosfera dello stadio di Marassi. Diventerà la mèta domenicale della coppia e poi della famiglia intera, incluso Stephan, classe 1992, in ciucciotto e carrozzina» (Enrico Currò). «“La mia prima partita, l’ho vista, si fa per dire, in braccio alla mamma. […] Mi hanno portato allo stadio in passeggino. Non so quale partita fosse, ma era del Genoa di sicuro: i miei sono genoani sfegatati”. Però risulta che lei, all’inizio, preferisse i videogiochi. “Nella torre dello stadio di Marassi, tra la gradinata Nord e i distinti, c’erano i videogiochi. E durante le partite io seguivo gli altri bambini e mio fratello Manuel, che ha 5 anni più di me, e lo guardavo mentre smanettava sulla console. Non immaginavo che un giorno, in un videogioco, ci sarei finito io”» (Currò). «Sono nato con il pallone in mano, che mi ha accompagnato per tutta la vita. Appena ho cominciato a camminare, mio padre mi ha portato ai giardini a giocare. Il calcio è la mia vita». «Bambino di 5 anni, giocava in piazza Sisto, nel centro di Savona, in compagnia del padre Sabri e del fratello Manuel. […] Racconta Manuel: […] “In piazza Sisto c’era Persenda, un vecchio allenatore del Savona. Quando vedeva mio fratello, sgranava gli occhi: ‘Sei un fenomeno, tiri fortissimo’”. […] Nel frattempo l’ha già lanciato nel Legino, squadra della periferia di Savona, l’antico scopritore di talenti Dionigi Donati» (Currò). «Un giorno, mentre ero al parco sotto casa, un ragazzo mi regalò un pallone da basket con la mano stampata sopra di Michael Jordan. Rimasi molto colpito e andai da mio padre, dicendogli che volevo giocare a pallacanestro. Lui avvertì Dionigi Donati, l’allenatore che avevo ai tempi al Legino, che impazzì e lo pregò di farmi cambiare idea. Mio padre lo calmò e gli disse che voleva farmi almeno provare. Provai tre giorni, ma tornai a casa implorandolo di farmi tornare a giocare a calcio. Da lì non ho più smesso». «Per prima cosa lei ha fatto il raccattapalle. “E sembrava un punto d’arrivo. A 8 anni, quando ancora giocavo nel Legino, una squadra di Savona, mio papà mi diceva: ‘Chissà se un giorno ti vedrò almeno raccattapalle del Genoa’. Era un’aspirazione anche per me”. […] “Mi sono addormentato tante volte sognando di essere Ronaldinho. La sera, nella mia cameretta, provavo tutti i palleggi strani che faceva lui, tipo il ‘giro del mondo’ col pallone. E non mi addormentavo finché non riuscivo a farlo anch’io. […] Kaká era l’altro mio idolo. Mi paragonavano a lui fin da piccolo: per la progressione in corsa, e poi perché, come persona, io lo vedevo molto simile a me: sorridente, semplice, umile. Quando poi l’ho conosciuto, a Madrid, l’ho trovato proprio come me l’aspettavo: mi ha dato la sua maglietta con un sorriso”. Sbravati, l’allenatore che la portò al Genoa, dice che di Kaká lei aveva proprio la corsa col pallone. “Un giorno, avevo 12-13 anni, Sbravati decise di cronometrarmi. Scoprimmo che andavo più veloce con la palla che senza. Sviluppare questa dote è stata un po’ la mia fortuna”» (Currò). «La crescita sportiva è avvenuta […] nel settore giovanile del Genoa. […] Il 21 dicembre 2008 esordisce in Serie A con la maglia del Genoa all’età di 16 anni e un mese, diventando il giocatore più giovane della storia del Grifone a debuttare nel massimo campionato italiano [primato detenuto fino al 22 dicembre 2016, giorno dell’esordio di Pietro Pellegri, ancora quindicenne – ndr]» (Marco Barbaliscia). «È stato tutto molto veloce, avevo 16 anni. Pensavo a giocare e a divertirmi. In quel periodo il Genoa non andava benissimo, c’erano molti infortunati. Sono andato in panchina la partita prima dell’esordio, ma non entrai. Alla gara successiva, a Verona contro il Chievo, eravamo cinque Primavera tra i convocati. Janković aveva i crampi, e il mister mi fece scaldare. In quei minuti sentivo il sogno che si stava avvicinando, sempre di più: ero teso ed emozionatissimo, ma avevo una voglia incredibile. Entrai sullo 0-0 e segnammo, fui coinvolto nell’azione del gol. Olivera calciò in porta e segnò proprio accanto a me e andammo a esultare insieme. Fu un esordio da sogno». «In quel periodo la sua superiorità tecnica a livello giovanile è quasi ingiusta. Nella finale di andata della Coppa Italia Primavera, contro la Roma, riceve una palla sulla trequarti destra, cerca di aggiustarsela d’esterno per il tiro, ma manca il contatto e il pallone gli rimane indietro. Allora tira forte d’esterno, l’unico modo che gli era rimasto per tentare la conclusione con la palla un po’ sotto, e il tiro va dritto per dritto all’incrocio dei pali. Quello di rimediare all’imprecisione aumentando la velocità della sua esecuzione sarà sempre una caratteristica di El Shaarawy. Dopo aver segnato anche nella finale del campionato Primavera, El Shaarawy viene girato in prestito al Padova, in Serie B» (Emanuele Atturo). «In Veneto diventa titolare indiscusso e trascina i suoi fino alla finale play-off per la promozione. L’anno ad alti livelli gli vale la chiamata del Milan, che lo preleva a titolo definitivo dal Genoa» (Barbaliscia). Nel frattempo, tra giugno e luglio 2011, El Shaarawy riuscì a superare (col voto minimo, 60/100) gli esami di maturità all’istituto Boselli di Savona. «Alla maturità scelse il tema socioeconomico: “Siamo quello che mangiamo”. Era l’estate del passaggio dal Genoa al Milan e i giornali raccontarono in diretta il suo esame. Succede sempre con i calciatori, come se fossero delle scimmiette fotografate quando si comportano da umani. “Sono un atleta e da tempo ho imparato ad avere cura del mio corpo. E poi mio padre mi ha fatto capire subito quanto fosse importante l’alimentazione corretta per una persona. Penso sia andata bene”. Ci raccontano la sua pagella, altro classicissimo: italiano 7, storia 7, inglese 6, economia domestica 6, diritto 6, psicopedagogia 7, igiene 6, statistica 6, educazione fisica 7, musica e canto 8» (Beppe Di Corrado). «Dopo un anno di rodaggio, potenziamento muscolare e problemi fisici, arriva il più grosso boom che il calcio italiano abbia visto negli ultimi anni» (Atturo). «All’inizio del campionato di Serie A 2012/2013, El Shaarawy ha diciannove anni. Nonostante alcuni […] fastidi al ginocchio sinistro, inizia a segnare con regolarità mostruosa. Il resto della squadra è in difficoltà e lui di fatto se la mette sulle spalle. Segna 14 gol solo nel girone d’andata: per un pezzo del campionato guida da solo la classifica cannonieri; arriva in doppia cifra prima di Cavani, Milito, Di Natale. Prenota una vacanza estiva ai Caraibi pagata da Massimo Ambrosini, col quale aveva scommesso che avrebbe segnato più di dieci gol. In Champions League diventa il più giovane marcatore della storia del Milan e soprattutto segna un gol meraviglioso, uno dei più belli dell’anno, contro lo Zenit di San Pietroburgo. Parte da sinistra, si accentra, taglia in velocità tutta la difesa dello Zenit, salta l’ultimo difensore e tira incrociando prima di cadere a terra. Il giorno dopo La Gazzetta dello Sport gli dedica la prima pagina e titola cubitale: “Faraonico”» (Costa). «Quando sono arrivato al Milan la squadra aveva vinto il campionato con in attacco giocatori fortissimi, e arrivare dopo la vittoria della Serie A non mi ha fatto avere molti spazi in squadra da titolare, proprio perché avevamo dei campioni. Mentre nel secondo anno la squadra ha perso due giocatori come Thiago Silva e Ibra, e così in attacco la mancanza di Ibra si sentiva e tutto è passato nelle mie mani: all’inizio non sapevo come fare, perché ciò che ha fatto lui era difficile da ripetere, ma poi la squadra era in difficoltà e sapevo che dovevo dare un contributo importante, e così sono riuscito a fare molti gol e portare il Milan a un insperato terzo posto» (a Damiano D’Ambrosio). «“È stata proprio una stagione fantastica, ha sorpreso anche me”. Sorpreso perché? “Perché io sapevo di avere bisogno di giocare con continuità. Ma non mi aspettavo così tanti gol, né di restare tanto a lungo in cima alla classifica cannonieri e di ritrovarmi in Nazionale e di segnare il mio primo gol, addirittura a una squadra come la Francia: è stata una tra le emozioni più grandi che io abbia mai vissuto”. Le altre? “Il debutto in Nazionale, il primo gol in Serie A e il primo gol in Champions, a San Pietroburgo con lo Zenit, anche perché è arrivato in un momento un po’ difficile per il Milan”» (Currò). «El Shaarawy, […] dopo quel pazzesco girone d’andata, si ferma come se si fosse inceppato il motore che ne attivava l’ispirazione. Alcuni sostengono sia un problema tattico, dato dalla presenza di Balotelli che occupa quegli spazi che andava ad attaccare lui, anche se partendo da lontano. Altri sostengono ci sia un problema fisico, muscolare. Però sia Allegri che Galliani sostengono che il problema non è né tattico né fisico, bensì mentale» (Atturo). «El Shaarawy finisce la stagione con 37 presenze e 16 gol in campionato, una presenza e un gol in Coppa Italia, 8 presenze e 2 gol in Champions League, che è più di quanto quasi tutti i calciatori ventenni al mondo possano dire di aver fatto. In estate va a giocare la Confederations Cup con l’Italia ma […] Prandelli lo utilizza poco, la stampa scrive che è arrivato spremuto mentalmente e fisicamente dalla faticosa stagione col Milan: gioca soltanto venti minuti nel girone contro il Brasile, in semifinale contro la Spagna non mette piede in campo. La finale per il terzo posto contro l’Uruguay, invece, la gioca tutta, tempi supplementari compresi, e alla fine segna pure il suo calcio di rigore» (Costa). «La parabola è però al suo apice: i continui problemi fisici ne limitano l’impiego nelle due stagioni successive, e così nel luglio 2015 si trasferisce in prestito al Monaco. In Ligue 1 gioca con continuità, ma non convince appieno, e a gennaio la squadra lo rimanda al Milan. Nell’affare, però, s’inserisce la Roma, che lo prende in prestito e poi lo riscatta definitivamente a giugno 2016» (Barbaliscia). Nel novembre 2014, «nel suo momento di maggiore difficoltà, […] Conte lo ha richiamato in Nazionale, dove si è presentato con un’aura da reduce. Mettendosi placido sulla fascia sinistra del suo 3-5-2 e assolvendo tutti i compiti difensivi con diligenza calvinista. […] Sono state probabilmente le prestazioni in Nazionale, il modo in cui ha messo le proprie doti atletiche al servizio del collettivo, che hanno convinto la Roma a puntare su di lui a gennaio, quando non c’era praticamente nessuno a credere in un suo rilancio. […] El Shaarawy esordisce con la Roma e segna un gol di tacco che vale tre punti. Da lì inizia la rincorsa della Roma, che mette insieme otto vittorie consecutive e per poco non arriva seconda in campionato. La storia del riscatto di El Shaarawy è iniziata a essere, da subito, la metafora del riscatto dell’intera squadra» (Atturo). Ciononostante, il calciatore «a luglio 2019 accetta la scommessa cinese e si trasferisce allo Shanghai Shenhua, che lo attira con uno stipendio da 16 milioni di euro a stagione. L’anno e mezzo asiatico non è però dei più felici, complici anche le difficoltà legate al coronavirus. El Shaarawy così si svincola il 22 gennaio 2021 per tornare a Roma, l’isola felice della sua ancora giovane carriera» (Barbaliscia) • Soprannome: «il Faraone». «Ha una bella storia. […] Alle finali nazionali con la Primavera, ho fatto un gol che per me era importantissimo e il mio amico Perin ha imitato la posizione dell’airone. Io ero lì, ai suoi piedi, e ho fatto quella dell’egiziano da geroglifico. È da allora che mi chiamano Faraone» (a Micol De Pas) • Celibe. «Essendo un tipo riservato, […] vorrei che si parlasse di me soltanto per quello che faccio in campo» • «Adoro la mia famiglia, con i miei parlo tantissimo, di tutto, da sempre. E poi mi sostengono, mi supportano in ogni cosa che faccio» • «Sono molto legato al Paese di mio padre, e in Egitto torno sempre volentieri a trovare i parenti. Però mi sento italiano» (ad Alberto Costa) • «Sei musulmano? “Sì, sono credente, ma mi limito a non mangiare maiale e non bere. La religione per me è soprattutto una questione di valori e di abitudini quotidiane legate alla mia famiglia”» (De Pas) • «Sono scaramantico, ho un sacco di riti. Però non li posso dire, altrimenti che scaramanzie sarebbero?» • «Altri sport? “Beach volley, ping pong, tennis, ma soprattutto biliardo, la mia seconda passione, il vero hobby”. Il biliardo è uno sport? “Ehi, la sfida è una cosa seria!”» (De Pas) • Famoso il suo taglio di capelli con la cresta. «Da bambino avevo sempre i capelli sparati: diciamo che pettinarli in questo modo è una conseguenza logica» • Privo di tatuaggi. «Bisogna distinguersi. Se mi copro di tatuaggi, poi divento uguale a tutti» • «Allevato secondo la regola dell’umiltà e dell’altruismo, in famiglia, a scuola e nello sport» (Currò). «Legatissimo alle sue origini: con i primi soldi importanti ha voluto regalare un defibrillatore al campo di Legino, quello dei primi passi» (Matteo Pinci) • Ha collocato il momento più difficile della sua carriera nel 2013, «quando mi sono operato […] al metatarso del piede sinistro. Il mio primo infortunio in carriera. Quello forse rappresenta il giorno più brutto della mia vita. Fu una ricaduta, perché dopo uno stop di tre mesi arrivò un nuovo infortunio a dicembre, alla seconda partita dal mio ritorno in campo, con il Mondiale a pochi mesi di distanza. Con il dottore scegliemmo la strada dell’operazione, ma poi sono arrivato a recuperare solo a maggio. Praticamente sono stato fuori un anno intero. Ho capito quali erano le vere persone su cui potevo contare nella mia vita: la mia famiglia e i miei amici. Dall’esterno sono arrivate tante critiche che non mi appartenevano e che mi hanno fatto star male. Quel periodo mi ha insegnato tanto» • Da quando è un calciatore professionista, non è mai stato espulso • «Da piccolo ho fatto tutti i ruoli, anche il portiere. Poi crescendo sono stato mezzala fino ai Giovanissimi. Sono passato sulla fascia destra, prima di essere spostato sulla sinistra, dove sono sempre rimasto: è quello il mio ruolo principale. Tranne che al Padova, dove mi hanno schierato come trequartista» • «Il gioco di El Shaarawy è elettrico: è un mosaico caotico di strappi in velocità, furiosi tagli dentro l’area, conclusioni mozze e improvvise. El Shaarawy si incendia nello spazio, quando può divorare il campo che lo divide dalla porta come un automobile lanciata fuori giri in una prateria» (Atturo). «Quelli come lui, nati negli anni Novanta, giovani, freschi, forti, sono i nativi digitali del pallone: saranno drogati dei videogame di “Pes” e di “Fifa”, ma esattamente come gli avatar multimediali rincorrono gli altri fino all’ultimo secondo e poi si ributtano in avanti per segnare. Sono i nuovi giocatori multitasking: difesa e attacco, fatica e talento. […] Corre come uno senza talento, e quindi più degli altri che, il talento, ce l’hanno. “Pes” o “Fifa” che sia. È come se fosse una perenne partita alla PlayStation dove puoi sempre ribaltare il risultato. […] Corsa, talento, creatività, agonismo, forza, gol. Non è bellissimo da vedere, nel senso che a volte corre un po’ sbilenco, con la schiena un po’ inarcata, col baricentro basso. Però è forte. Fortissimo. Però segna. Però ride» (Di Corrado). «Esulta soltanto quando mette a segno reti decisive – un pareggio o un vantaggio –, e non se la squadra è ancora sotto. Perché per un attaccante non c’è nulla di più triste di un gol inutile» (Marco Pasotto) • «Nella Liguria avara di spazi, ai giardini, in mezzo alle panchine: è lì che è nato lo slalomista El Shaarawy? “Non credo. Semmai può avermi aiutato a sviluppare certe caratteristiche il mio hobby preferito, il biliardo. Sono sempre un po’ precisino nelle traiettorie”» (Currò) • «Un piccolo cruccio a me e alla mia famiglia è rimasto: non ho mai giocato con la maglia del Genoa a Marassi, anche se ho esordito in Serie A a 16 anni, in trasferta. Mi sarebbe piaciuto: quello stadio dà una carica tutta particolare» • «Sa di essere un modello e un esempio per molti ragazzi? “È una bella responsabilità. Però, non lo nego, mi fa anche piacere che tantissimi giovani mi prendano come esempio. Me ne sono accorto piano piano: dai complimenti che ricevo, da qualche pagina su Facebook, e naturalmente dalla percentuale di ragazzini con la cresta come la mia che vedo in giro. Sento l’obbligo di tenere sempre un certo comportamento. Cioè devo continuare a comportarmi come facevo prima di essere famoso: restare semplice è il migliore esempio che io possa dare”» (Currò).