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 2022  novembre 18 Venerdì calendario

Scacchi per carcerati


La speranza, nel carcere di massima sicurezza di Spoleto, ha la forma di un alfiere che scivola verso un cavallo indifeso, lo mangia e si pianta vicino al re. Scacco matto. Un ragazzo con i capelli lunghi raccolti dietro la testa dà una pacca sulla spalla al vincitore: «Ottima mossa». Ai lati della scacchiera due detenuti si alzano e si stringono la mano. Quel gesto, accettazione della sconfitta e rispetto dell’avversario, racchiude la missione di Mirko Fasciatti. Dal 2015 questo 32enne insegna a giocare a boss mafiosi, narcos e sicari legati alla criminalità organizzata. Persone con lunghissime condanne da scontare, qualcuno potrebbero anche terminare la sua esistenza dietro le sbarre.
Scacchi sociali, gli piace chiamarli a Mirko, anche se il programma ministeriale che promuove l’attività utilizza una definizione più fredda. «Insegnare è la mia vocazione – spiega il maestro, programmatore grafico nella vita di tutti i giorni –. Pensare che gli scacchi possano aiutare persone che hanno commesso errori enormi a intraprendere nuove strade è una soddisfazione unica».
Quando ha vinto il suo primo torneo, a 13 anni, mai avrebbe immaginato che un giorno avrebbe avuto di fronte un uomo condannato a 26 anni di carcere per narcotraffico internazionale. Uno che negli Anni 80 dava del tu al signore della droga Pablo Escobar, protagonista di una rocambolesca fuga dall’oblò della nave che lo stava trasferendo da Marsiglia a Barcellona, prima di essere consegnato alle autorità italiane. Quell’uomo, oggi, stringe un pedone tra pollice e indice, studiando la prossima mossa. «Quando mi hanno proposto di insegnare a giocare a scacchi ai detenuti non ho esitato a rispondere sì», ricorda Mirko. Poi lo assalì una paura: «Non mi intimoriva l’abisso del loro passato o il curriculum criminale, ma come avrebbero utilizzato i miei insegnamenti», spiega. Gli scacchi, secondo Mirko, sono un’arma potentissima: «Sedici pezzi si possono muovere su 64 caselle, per infinite combinazioni che ogni volta creano un mondo immaginario diverso. Questo gioco ti insegna a usare il cervello in un modo nuovo, a reagire a eventi imprevisti e sfruttarli a tuo favore. Insegnare queste cose a persone che hanno commesso crimini terribili era un rischio: sentivo di avere una grande responsabilità», racconta. Il pericolo che le partite, magari sporcate da imbrogli, innescassero comportamenti aggressivi e sfociassero in liti era concreto. Paure infondate, evaporate dopo le prime settimane in carcere.
Il pregiudizio, nel contesto carcerario, è sempre in agguato ma fino a oggi Mirko non ha mai temuto per la sua incolumità. «C’è lo stereotipo da film del detenuto come Hannibal Lecter. La verità è che io ho conosciuto persone disponibilissime e curiose di imparare», racconta. Con molti di loro si è creato un rapporto personale, che vede come primo tassello la confessione del reato commesso: «Io non ho mai fatto domande sulla loro vita, aspettavo che fossero loro a raccontare».
Da sempre Mirko ha la vocazione di aiutare gli altri. Prima del carcere ha assistito ragazzi con disturbi dell’apprendimento e poi anziani affetti da Alzheimer. Ma in carcere ha incassato le sue più grandi soddisfazioni. Un giorno, ricorda, gli psicologi ha fatto circolare un questionario. «Chi partecipava alle mie lezioni ha raccontato che grazie agli scacchi la sua vita carceraria è migliorata. Il pensiero della famiglia lontana e l’angoscia di una vita che potrebbe terminare tra le mura del carcere è alleviata da esercizi e partite ripercorse mentalmente. I tempi morti, che spesso sprofondano i detenuti in pensieri bui, vengono rimepiti da pedoni, torri e regine».
Lo scorso mese la squadra allenata da Mirko ha partecipato ai Mondiali di scacchi per carcerati, anche se non è riuscita a superare il girone eliminatorio. Ma la vittoria più grande, per Mirko, era già arrivata. Un ex detenuto uscito dopo aver scontato 24 anni per associazione a delinquere di stampo mafioso gli aveva telefonato qualche giorno prima. «Mi disse che ero la prima persona che chiamava da uomo libero. Aveva trovato un club di scacchi nella sua città: “Non voglio smettere di giocare”, esclamò». Scacco matto al cuore, per Mirko. —