la Repubblica, 18 novembre 2022
Ai cinesi piace gattonare
Tutti giù per terra, a quattro zampe, a gattonare in cerchio. Sembra essere la nuova moda dei giovani cinesi, soprattutto di quelli rinchiusi nei campus universitari per colpa delle restrizioni anti-Covid. Appuntamento quando cala il sole, nei giardini o nei campetti sportivi degli atenei, e poi via a strisciare tutti assieme.
Sono scene che si stanno vedendo in molte città da qualche settimana a questa parte, e che stanno facendo impazzire i social e gli esperti con le speculazioni più disparate. Performance artistica? Un gioco dettato dalla noia? Strani rituali legati a qualche culto misterioso? Mero esercizio fisico per combattere lo stress, dopo quasi tre anni di pandemia che hanno confinato le loro vite con interminabili chiusure? O una vera e propria protesta contro le regole della tolleranza zero sul virus, per esprimere così la frustrazione nei confronti dei controlli rigorosi?
Fatto sta che molti dei video postati sui social ora sono stati cancellati, e le autorità provano un certo disagio. All’Università dello Zhejiang i funzionari hanno vietato i ritrovinotturni per problemi di sicurezza. «Sfiniti dai lockdown e con una grande incertezza sul futuro, la perdita di significato si aggiunge al senso di crisi esistenziale dei giovani. Strisciare è un rituale collettivo per liberare la sensazione di essere repressi usando il nonsenso per resistere al nonsenso che ci circonda», scrive in un post Lin Shihou, che studia all’Università di Chongqing.
Oltre alle chiusure Covid, le pressioni che devono affrontare i giovani cinesi sono notevoli: un’economia che rallenta e una disoccupazione da record (quasi un giovane su cinque oggi non lavora), in un mercato che è sempre più competitivo.
Nonostante qualche lieve aggiustamento negli ultimi giorni, poi, la politica zero-Covid continua ad imporre numerosi lockdown. Da mesi agli studenti è consentito lasciare i campus soltanto per validi motivi e se autorizzati: situazione che però si sta irrigidendo visto l’aumento quotidiano dei casi, che hanno superato anche ieri le 20mila infezioni in tutto il Paese. Alla Peking, prestigiosa università della capitale, è bastato un positivo due giorni fa per far chiudere un intero campus.
La moda è partita a inizio mesecon un post anonimo pubblicato sui social da uno studente dell’Università di Comunicazione di Pechino. «Trovereste spaventoso se vedeste qualcuno strisciare per terra? Se no, ecco cosa farò domani». Presto altri gruppi di giovani striscianti sono emersi in altre città come Suzhou e Hangzhou. «Non so se sia una protesta o meno, a me sembra più un gioco dettato dalla frustrazione di starsene rinchiusi in questo che dovrebbe essere il periodo migliore della loro vita, della loro spensieratezza», ci racconta Li, un amico cinese.
Molti studenti si sono lanciati anche in un’altra attività, diciamo così, creativa, per non impazzire: portarea spasso al guinzaglio finti cagnolini fatti di cartone.
Prima della nuova moda strisciante, erano apparsi altri fenomeni subito censurati dalla stampa di Stato, catalogati come molto poco socialisti: iltangping, o “sdraiarsi”, sorta di abbandono silenzioso nella corsa al successo imposta dalla società; o,più recentemente, la sua versione ancora più estrema, bailan, “lasciar marcire” tutto ciò da cui si è circondati. Insomma, mollare tutto. Gioco, protesta o semplice esercizio fisico, poco importa per molti di loro: «L’isolamento è davvero molto noioso e la gente cerca qualcosa da fare».