la Repubblica, 18 novembre 2022
Intervista a Elly Schlein
Elly Schlein, la scorsa settimana lei ha annunciato che parteciperà al processo costituente legato al congresso del Partito democratico.
Sta per candidarsi alla segreteria?
«Ho rivolto un appello a partecipare a una fase che permetta di discutere quale visione di futuro proponiamo, chi vogliamo rappresentare e come cambiare con coraggio questo modello di sviluppo che non funziona. Serve una discussione con le persone e nella società, non nel ceto politico. L’obiettivo deve essere superare le contraddizioni di questi anni che hanno prodotto fratture e fatto sentire orfani tanti elettori ed elettrici della sinistra».
A quali contraddizioni pensa?
«È mancato il lavoro su politiche redistributive della ricchezza, del sapere e del potere. La sinistra non è riuscita ad anticipare le grandi trasformazioni che stanno spaventando le società. L’aumento delle diseguaglianze, gli effetti sul lavoro delle innovazioni tecnologiche, l’emergenza climatica che mette a rischio il pianeta».
Meloni ha affrontato meglio questi temi?
«Nel discorso di insediamento li ha rimossi. La destra non vede le diseguaglianze, è come se vivesse in un altro Paese. Le idee sull’ambiente sono vecchissime e sbagliate. E non parla mai di precarietà del lavoro, che ruba il futuro a giovani e donne, particolarmente al Sud. Si scagliano vigliaccamente contro l’immigrazione e non vedono l’emigrazione causata dai salari bassi e quanto questa precarietà incida in negativo sulla natalità».
Ma se la destra non vede tutte queste cose, perché vince?
«La legge elettorale premia chi riesce a costruire coalizioni. La destra non ha aumentato i voti, li ha redistribuiti al suo interno. Il problema è che dall’altra parte le divisioni e l’incapacità di mettere in campo una visione comune hanno prodotto una netta sconfitta».
Può fare un esempio concreto di errori commessi in passato dalla sinistra?
«Ha governato a lungo senza agire sulle cause profonde della precarietà del lavoro. Lavoro e povero non dovrebbero mai stare nella stessa frase».
Un esempio più concreto?
«Sicuramente con il Jobs Act si è commesso l’errore di abbandonarsi al mantra neoliberista della disintermediazione».
La sua ricetta?
«Limitare il ricorso ai contratti a termine e alzare subito i salari, il taglio del cuneo va fatto a favore del lavoro. Introdurre il salario minino,una grande battaglia mancata in questi anni. Siamo l’unico Paese dove gli stipendi sono diminuiti negli ultimi 30 anni. Serve un nuovo Statuto dei lavoratori, la sinistra del 2023 non può non vedere che l’innovazione tecnologica ha facilitato i processi produttivi ma aumenta le diseguaglianze. Se non facciamo una legge sulla rappresentanza non spazzeremo via i contratti pirata. Il problema del precariato è legato anche alla sicurezza sul lavoro, serve un grande investimento, non è accettabile morire né di lavoro né di stage».
Chi paga i costi della transizione ecologica?
«Dovremmo cambiare la domanda: chi, già oggi, paga il costo di non farla? Lo pagano i più fragili, basta vedere gli effetti della crisi energetica che colpisce tutti, ma più duramente le fasce di reddito basse. Un altro modello di sviluppo è possibile ed è nel programma di tutte le forze socialiste, progressiste, ecologiste».
Reddito di cittadinanza, va difeso?
«Al governo dico: giù le mani.
Senza questo strumento, in pandemia avremmo avuto un milione in più di persone in povertà. È migliorabile».
Come si crea nuovolavoro?
«Investire nel lavoro sociale e di cura potrebbe creare più di 20 milioni di posti lavoro in Ue, di cui due in Italia. Non c’è niente di naturale nell’idea di famiglia che relega le donne a welfare vivente.
Si vuole fare politica seria di sostegno alle donne? Si investanelle infrastrutture sociali e nei servizi. In Spagna sono arrrivati a tre mesi di congedo paritario pienamente retribuiti, Sanna Marin in Finlandia l’ha portato a cinque mesi. In Italia siamo a 10 giorni per i padri. Sono curiosa di vedere la risposta della presidente del Consiglio».
“La” o “il” presidente del Consiglio?
«Non stupisce la scelta per il maschile. Conferma che quella di Meloni è una leadership femminile ma non femminista e non intende mettere in discussione il sistema di potere e cultura patriarcale che permea la società».
Meloni resta la prima presidente del Consiglio. E c’è riuscita a destra.
Una lezione anche per voi?
«Se le altre donne sono talmente schiacciate da non riuscire nemmeno a vedere il soffitto di cristallo, è inutile sfondarlo da sola.
Non serve che Meloni ci dica che difende la libertà delle donne di esser madri se non difende la libertà di non esserlo».
Paura che Meloni riduca i diritti?
«Trovo assurdo che ci venga spesso a spiegare come vorrebbe l’opposizione. Stanno già attaccando gli spazi di libertà e dissenso, mi auguro ritiri la querela a Saviano, c’è un dislivello di potere evidente».
In queste prime settimane di governo si parla più di migranti che di guerra e crisi. Una strategia o una vocazione?
«Trovo clamoroso che il governo abbia iniziato bucando le urgenze delle famiglie in difficoltà. Aspetto ancora di capire cosa vuol fare in concreto sulle bollette. Piantedosi inaula ha spolverato tutto il repertorio dell’estrema destra ma ha dimenticato di dire, mentre chiedeva una risposta europea, che ad aver disertato la battaglia per cambiare le norme di Dublino è stata la Lega di Salvini. Non voleva scontentare Orbàn e gli altri alleati nazionalisti».
Rimprovera qualcosa alla sinistra anche in tema di immigrazione?
«Sì, errori enormi, commessi per rincorrere la destra, alla politica dell’odio e dei muri non si risponde con il silenzio o con gli ammiccamenti ma con il coraggio di un’altra visione.
Il vergognoso memorandum con la Libia è stato rinnovato tacitamente ed è stata sciupata l’occasione di cambiare la legge Bossi-Fini, norma ipocrita che crea irregolarità».
Favorevole a nuovi aiuti militari all’Ucraina?
«Ne discuterà il Parlamento, vengo da una cultura di pace ma non ho mai criticato chi ha scelto di supportare la resistenza ucraina nella prima fase, altrimenti staremmo discutendo del tragico scenario della vittoria di Putin che riscrive militarmente i confini europei. Ma ora è una fase diversa, sono passati molti mesi e serve uno sforzo politico e diplomatico dell’Ue per il cessate il fuoco e una conferenza di pace».
Ma intanto aiuti sì o aiuti no?
«Bisogna discutere insieme i due piani, speriamo che la liberazione di Kherson possa aprire la strada a ciò che è mancato in questi mesi e che anche la piazza di Roma chiedeva».
Senza sforzi da parte dell’aggressore il dibattito sugli aiuti non rischia di essere solo un favore a Mosca?
«Nessuna equidistanza è possibile, Putin può solo essere condannato per ciò che ha fatto. La pace serve a ristabilire i principi del diritto internazionale che lui ha violato».
Alle regionali di Lazio e Lombardia qual è l’assetto ideale del campo di centrosinistra?
«Veniamo da una dura sconfitta e sarebbe irresponsabile replicare per tatticismi le divisioni senza nemmeno provare a ritrovarsi attorno a un progetto comune.
Servono candidature in grado di allargare il campo».
Un accordo con Moratti in Lombardia è da escludere?
«Penso sia assurdo anche solo parlarne».
In molti aspettano solo che lei annunci la candidatura alla segreteria del Pd.
«I grandi cambiamenti non si muovono sulle spalle di traiettorie individuali ma di mobilitazioni collettive».