il Fatto Quotidiano, 18 novembre 2022
I cocktail più amati dai musicisti
Questa è una storia fradicia di alcol. Poi c’è chi si è lasciato sopraffare e chi è riuscito ad appendere il bicchiere al chiodo, salvandosi la pelle: l’anima no, quella era già stata riscattata dal monopolista di categoria.
Non resta che procurarsi uno shaker e un giradischi: Bere come una rockstar. 100 ricette per ricreare i drink che hanno ispirato i giganti della musica (Il Saggiatore, testi di Julia Abramoff e traduzione di Valentina Ballardini) è un breviario elettrico e infiammabile. Alla calata: pare che il preferito di Keith Richards sia il Nuclear Waste (a base di vodka e aranciata), mentre Mick Jagger andrebbe in estasi per il Tequila Sunrise. Freddie Mercury e Amy Winehouse amavano la vodka e con loro Eric Clapton, che la miscelava alla birra Carlsberg Special Brew: “In vent’anni ne ho bevuto una quantità inimmaginabile – ha confessato quest’ultimo –. Quando salivi sul palco era quasi scontato che fossi ubriaco. Ricordo di aver fatto un intero concerto sdraiato a terra con accanto l’asta del microfono e nessuno ha battuto ciglio”.
Una buona bevuta dà satisfaction. Per diventare leggenda occorre energia: niente di meglio, allora, di una colazione proteica con brandy e tuorlo d’uovo come abitudine di Ozzy Osbourne. Un tipo capace “di bere una bottiglia di cognac, addormentarsi, riaprire gli occhi e scolarsene un’altra”. Il suo alcolismo era così esasperato che i medici hanno propugnato l’ipotesi che possa essere sopravvissuto grazie a una mutazione genetica. Nel sangue di Pete Townshend, fulcro degli Who, scorrevano fiumi di Rémy Martin: “Per quindici anni non bevevo acqua, tè, né Coca-Cola. Credo che non mangiassi. Sopravvivevo a cognac”. John Lennon propendeva per il brandy mischiato col latte; Joe Strummer, cofondatore dei Clash, raccontò di aver corso tre volte la maratona di Parigi e che il suo allenamento consisteva nel “non muovere un solo passo almeno per quattro settimane prima della gara e bere dieci pinte di birra la sera precedente”. Genio, sbornia and roll.
La raccolta intreccia aneddoti, bizzarrie e ricette, con le giuste dosi dei cocktail del cuore dei nostri divi fuori di giri. Tutto documentato sviscerando memoir e articoli di giornale, i testi delle canzoni e gli elenchi delle richieste da backstage. Il distillato più iconico? Il whisky naturalmente, in particolare il Jack Daniel’s: da Jimmy Page dei Led Zeppelin a Slash dei Guns’n’Roses, da Lemmy Kilmister dei Motörhead al frontman degli U2 Bono (“È meglio essere ubriachi nello spirito: a volte, però, una bottiglia di Jack Daniel’s è più maneggevole”).
Jimi Hendrix levitava sulle ali del Johnnie Walker Red, Janis Joplin tracannava Southern Comfort. Una volta ne spaccò una bottiglia in testa a Jim Morrison. Per assurdo, proprio il leader dei Doors mise in guardia dagli eccessi con l’alcol: “Non sai mai dove ti ritroverai il giorno dopo. Può andarti bene o finire malissimo. È come lanciare i dadi”. A meno che non adottiate l’antidoto choc anti-etilico di Alice Cooper: un gelato al tonno. Orrendamente, miracolosamente rock.