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 2022  novembre 17 Giovedì calendario

Insulti e liti tra compositori

Bel tacer non fu mai scritto: adagio decisamente desueto dalle parti della musica classica. Quando arrivava l’ora di stroncare i colleghi (vivi o morti che fossero), di risparmiarsi, i grandi compositori non ci pensavano nemmeno. Tra un Beethoven che “starnutisce” nelle sinfonie e un Fidelio da “immondizia” (cit. Hegel), il bestiario operistico abbonda. Veri e propri toni da shitstorm via social, solo un po’ più colti. In Una storia dilettevole della musica: insulti, ingiurie, contumelie e altri divertimenti, in libreria con Marsilio, lo storico Guido Zaccagnini ha raccolto con brio e dovizia di particolari i ritratti di 30 acidissimi enfant prodige visti “tra di loro”.


Una nota di troppo. Forse il fraseggio poco brillante. Sta di fatto che Berlioz definisce un passaggio di Donna Anna nel Don Giovanni di Mozart “uno dei più odiosi crimini contro il buon gusto e il buon senso”, per il quale “trovo il termine ‘vergognoso’ persino inadeguato”. In confronto, le “troppe note” del Ratto del Serraglio che tediavano Giuseppe II nell’Amadeus di Milos Forman suonano come un complimento. Quelle di Berlioz non sono le uniche stroncature che i posteri riservarono al maestro viennese. Stravinskij bolla le messe sacre come “pasticceria da rococò”. Anche Debussy detestava i suoi concerti, ma “cordialmente”. Quasi una dedica rispetto a quello che spifferava in giro il maestro italiano di Haydn, ovvero un “asino, coglione, birbante”. L’allievo si prese la rivincita bacchettando (a sua volta) Beethoven, a cui dava lezioni di pianoforte: carattere troppo “arrogante e prepotente”, “non verrà mai fuori niente da quel giovane”. Si sbagliava. Poco dopo sarà costretto a recensire i celebri Quartetti dell’alunno, ma paragonerà quello in La minore a un “sandwich a cinque strati”. Sempre per Debussy, poi, le sonate “sono scritte molto male”; servirebbe una “terza mano di cui Beethoven certo si accorgeva, almeno spero”. Ci mancherebbe: pedali improbabili, crescendi esagerati e diteggiature impazzite non sono rari negli spartiti del musicista di Bonn. Complice la sordità, capitava spesso che Beethoven azzardasse sulla tastiera ciò che l’handicap uditivo gli impediva di sentire, trasponendo tutto sul pentagramma e usando l’amato Érard a coda “come una clava”.


Subito dopo arrivò un altro fuoriclasse a martirizzare le tastiere dei pianoforti: Liszt. Diabolico genio del virtuosismo, solo lui riuscì a trascrivere per pianoforte tutte e nove le sinfonie. Ma il nobile fine non teneva conto dei mezzi. E i sapidi versi che qualcuno dedicò all’“eroe” ungherese sono indicativi: “Non ha sconfitto altro che semicrome/ E non ha ucciso altro che pianoforti”. Eppure, nonostante l’impetuosità, si narra di un giovane Brahms che si addormentò proprio mentre Liszt suonava. Non si degnò neanche di scusarsi. Anzi, gli fece recapitare una lettera con scritto: “Non sono assolutamente toccato dalla sua musica; essa è contraria al nutrimento che, fin dall’infanzia, ho tratto dai nostri grandi maestri”.


Sebbene già si conoscessero i modi ruvidi del musicista di Amburgo, stupisce invece il più mite fra tutti, Giuseppe Verdi, che annota in sequenza del Lohengrin di Wagner: “Brutto… mal fatto… cattivo… duro… orribile… noioso… pasticcio”. Più diplomatico (oltre che condivisibile) appare invece il commento di Cajkovskij alle opere del padre del Leitmotiv: “Con l’ultimo accordo del Crepuscolo degli dei mi son sentito come un carcerato liberato dalla sua prigione”, mentre i Nibelunghi sono una “interminabile cosa”. Meglio Schubert, a questo punto. Anche se le sonate romantiche e graziose mal si accompagnano alla silhouette bassa e tarchiata dell’autore; “si sarebbe potuto prenderlo per un contadino austriaco, o meglio, bavarese” annota Von Sonnleithner, avvocato di Beethoven. Infatti, di donne, attorno a Schubert ne giravano poche. Il compositore finì i suoi giorni circondato piuttosto da “appuntamenti etilico-artistici”, scrive Zaccagnini, dove “l’omosessualità non era la norma, ma nemmeno l’eccezione”.


Nemmeno Händel faceva mistero delle sue preferenze. Le incursioni fra i coristi della Royal Academy erano cosa nota a Londra. Mentre Bach, a dirigere il coro, non andava quasi mai, tanto che venne addirittura arrestato per assenteismo. In compenso è ritenuto insuperabile nella musica sacra da (quasi) tutti. Non da Satie. “I miei corali eguagliano quelli di Bach”, rimprovera agli adulatori del Kapellmeister di Lipsia, “con la sola differenza che sono più rari e meno presuntuosi”.