la Repubblica, 17 novembre 2022
A Torino, un centro per i figli delle madri uccise dai padri
«Un orfano di femminicidio non può dipendere dalla carità di chi ha di fianco». La frase è decisa: a tutelarlo devono essere le istituzioni. Parte da lì il progetto Sos Orfani speciali, che ieri a Torino ha inaugurato un centro di sostegno per i ragazzi e le famiglie affidatarie. Parte dalla consapevolezza che le vittime di violenza di genere sono responsabilità di tutti: della società che prima non è stata in grado di tutelare la donna e poi si dimentica del figlio. Scaricando la complessità del dramma su chi lo prende in carico.
Lo sa bene Stefano Delmonte, di Varese, che aveva diciotto anni nel 1997, quando i carabinieri gli hanno telefonato per dirgli che suo padre aveva ammazzato sua madre per strada. «Il senso di abbandono che ho sentito è stato pazzesco, mai nessuno si è occupato di me e dei miei fratelli». E l’unico aiuto offerto dallo Stato sembra una beffa. «Il giorno del funerale sarei dovuto partire militare. Sono partito tre mesi dopo e il congedo illimitato mi è arrivato tre mesi prima che finissi il servizio». Stefano ora è strumentista di laboratorio. «Avrei voluto diventare chirurgo, ma mio padre, oltre che un assassino, è un ladro che mi ha rubato sogni e progetti». Ora è una «persona risolta», ma il «percorso è stato lungo e lo condivido con altri orfani».
Ogni tragedia è a sé, così come ogni riscatto. «Ogni famiglia deve capire come riconfigurarsi», sottolinea Anna Maria Zucca, responsabile del progetto, selezionato e finanziato dall’impresa sociale Con i bambini, che a capofila vede i Centri antiviolenza E.m.m.a.
Aperto a tutti, tre ore da lunedì a venerdì con un numero di emergenza attivo h24, il centro di Torino, in via Nota 5, tiene in conto la complessità delle richieste, delle tematiche, dei problemi, dei bisogni. «Il sostegno educativo, psicosociale, economico, allo studio e al lavoro dev’essere pensato individualmente, in base all’età e ai bisogni».
Anna ora ha 21 anni, ne aveva 9 quando suo padre ha ucciso sua madre. «Non mi era chiaro quanto fosse successo. Pezzettino per pezzettino mi venivano spiegate le problematiche che da anni c’erano tra i miei genitori». Davanti alla psicoterapeuta era a «disagio», i servizi sociali erano «invasivi». Nessuna comprensione, nessuna empatia. «Gli atti del tribunale li ho letti da sola, di nascosto».
Le famiglie affidatarie, per il 60% quelle materne, vittime anch’esse della violenza di genere, si trovano impreparate ad affrontare tutto ciò. E Anna Maria Zucca lo riassume bene: «Serve una rete nazionale tra i vari progetti per fornire delle linee guida a tutti i soggetti coinvolti».
Orfani speciali, così li ha definiti la psicoterapeuta Anna Boltri. E molto spesso dimenticati. In Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta gli orfani di femminicidio, tra 0 e 21 anni, sono una cinquantina. È una stima perché un osservatorio nazionale ancora non esiste.
Il centro inaugurato a Torino pensa all’assistenza senza tralasciare la prevenzione. Ed è ecco che lo spazio si apre alla città, con una biblioteca ricca di volumi liberi da stereotipi e pregiudizi. Le pagine tappezzano le pareti e parlano di affettività, differenza tra possesso e amore, rispetto, parità di genere. —