La Stampa, 17 novembre 2022
La via della Seta di Giorgia
L’ultima ora del suo G20 Giorgia Meloni la trascorre al ristorante giapponese dell’hotel Westin di Bali, a limare con i collaboratori il comunicato sul bilaterale con il presidente cinese Xi Jinping. È il vertice più importante per la premier italiana dopo l’americano Joe Biden. Il terzo, invece, molto atteso, non era in agenda e non è mai avvenuto: con Emmanuel Macron si vedono, si salutano, siedono vicini quando il G7 si riunisce per parlare dei missili piovuti in Polonia, ma non vanno oltre. La ferita sui migranti non è ancora ricucita, e il presidente francese sembra poco disposto a una tregua con Meloni.
Non resta che concentrarsi su Xi. Per tutto il giorno non è chiaro a che ora si terrà il faccia a faccia. Doveva essere prima della conferenza stampa finale della presidente del Consiglio. Invece i cinesi lo fissano per le otto di sera, e fanno capire alla delegazione italiana che sarebbe meglio che l’incontro con i giornalisti avvenga prima e non dopo. E così Meloni arriva – in ritardo – si dilunga a trarre un bilancio dei due giorni del summit, prende solo tre domande, a qualcuna risponde a qualcuna no, e poi scappa all’appuntamento con Xi. I protocolli di Pechino sono rigidissimi e il codice di comportamento sulle relazioni tra leader prevede la massima discrezione. Xi è furibondo con il premier canadese Justin Trudeau, che ha svelato tutti i dettagli del suo colloquio con il presidente cinese. Un errore che gli italiani non vogliono ripetere.
Accanto a Meloni, nella stanza sono ammessi solo il consigliere diplomatico Francesco Talò e l’ambasciatore a Pechino Luca Ferrari. Dall’altra parte, ad affiancare Xi ci sono il ministro degli Esteri Wang Yi e il governatore della Banca centrale Yi Gang. «Sono contento di incontrare una leader donna al G20 che guida un governo politico» è il saluto del presidente cinese.
L’incontro non è uno sgarbo agli americani. Tutt’altro. Meloni parla con il presidente cinese di temi e usando argomenti che ha in qualche modo condiviso con Biden il giorno prima. È uno schema concordato, che si ripete per gran parte dei più importanti soci dell’Alleanza Atlantica, e alla luce di quanto è accaduto lunedì, al bilaterale tra Biden e Xi. Il primo disgelo tra Usa e Cina potrebbe già aver cambiato la strategia di tutti gli altri leader dell’Occidente. «Con Pechino bisogna competere, e non arrivare a una contrapposizione», è la ricetta di Biden per gli alleati, compresa Meloni.
Il fronte aperto con la Russia ha innescato una riflessione globale sull’opportunità di una nuova guerra fredda in Oriente. Xi e Meloni si soffermano molto sull’Ucraina, e, di rimando, sfiorano il tema di Taiwan, senza mai citare per nome l’isola contesa. Secondo la premier «è necessario abbassare la tensione», per non provocare altre guerre. Xi fa intendere di non avere nessuna voglia di ulteriori conflitti, ma difende come irrinunciabili le ragioni alla base della One China Policy, la dottrina che prevede Taiwan come parte integrante della Cina. Mentre su Putin confessa: «La nostra capacità di influenza è molto più limitata di quanto si pensi». Una giustificazione tattica magari, nel giorno in cui Xi si è sfilato dalla condanna a Mosca nel documento finale dei Venti, ma comunque un segnale di quanto si siano complicati i rapporti con il Cremlino.
Xi usa tutte le accortezze tipicamente cinesi per far capire di voler riallacciare relazioni sfilacciate anche dalla pandemia: il colloquio che dura un’ora, il doppio di quanto previsto, e l’invito a visitare la Cina, che Meloni accetta: «Così potrà conoscere e amare la cultura cinese».
Era da tre anni che l’Italia non aveva un incontro a questo livello. Dall’aprile del 2019, quando l’allora premier Giuseppe Conte volò a Pechino per onorare il Memorandum sulla Via della Seta, decine di miliardi di accordi strategici firmati a Roma il mese prima. Di quel viaggio Xi conserva un bellissimo ricordo: «Uno dei più belli della mia vita», dice, soffermandosi sul rapporto con il presidente Sergio Mattarella: «Un uomo di cui ho grandissima stima».
Sono cortesie utili ad addolcire il clima. Meloni ricambia e – secondo le ricostruzioni – evita di fare riferimento al memorandum. Dalla firma di Conte in poi, la Belt&Road Initiative è rimasta di fatto congelata. È un accordo che non è mai piaciuto agli americani, per i rischi che comporta il coinvolgimento di imprese in mano al regime nelle infrastrutture strategiche europee. Resta comunque la voglia di tornare a fare affari insieme. Di riattivare tutti i canali, «inclusi quelli sui diritti umani», insiste Meloni. Per Xi è importante che l’Italia abbia un ruolo attivo per riavvicinare il mercato dell’Unione europea alla Cina. «A parità di condizioni, però», precisa la premier. Per l’Italia è fondamentale riequilibrare la bilancia commerciale, ma serve una maggiore apertura di Pechino. Su questo Xi dà subito la disponibilità «a incrementare l’import di prodotti italiani di alta qualità».
Per riallacciare un rapporto, concordano, è meglio ricominciare su cosa si va d’accordo. «Cercare un terreno comune al di là delle differenze» sostiene Xi. A partire «dall’amicizia di due civiltà millenarie», dalla collaborazione sulle Olimpiadi invernali di Cortina Milano, ma alla fine tornando sempre al business. E a questo proposito il presidente cinese cita l’accordo con il consorzio italo-francese Atr, proprietà comune di Airbus e Leonardo, per rifornire la Cina di aerei nei prossimi dieci anni: «Ecco un esempio pratico – dice –di come possiamo collaborare». —