Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  novembre 17 Giovedì calendario

Le Borse non digeriscono più gli hamburger vegetali

MILANO – È una nicchia con immense prospettive di crescita, in un mercato da 1.000 miliardi di dollari. Ma nel 2022 la crescita dell’ alternativefood,le proteine vegetali che replicano carne, latte e derivati, è ferma.
Una crisi di risultati e anche culturale, davanti a un’inflazione che induce i consumatori a concentrarsi sui beni tradizionali. In Borsa gli effetti sono già evidenti: a New York il plotoncino dei marchi pionieri – da Beyond meat a Oatly, Tattooed chef, Impossible foods, Benson hill – in pochi mesi ha perso dal 70 al 90% rispetto ai picchi 2021.
I consulenti di Deloitte, basandosi sulla loro annuale statistica Future of fresh, trovano tre cause per la frenata delle proteine vegetali (dette Pba,Protein based alternatives ). La prima è la scalata al mercato globale meno roboante rispetto alle attese: Bloomberg intelligence censiva un giro d’affari 2020 di 30 miliardi di dollari, vedendolo quintuplicato a 162 miliardi nel 2030, ma i dati 2022 mostrano che, del 47% di consumatoriche negli Usa «qualche volta compra carne Pba», la quota di chi è disposto a pagarla di più è scesa del 9%, e calano anche i clienti che la ritengono più salubre per la dieta (-8%) e più sostenibile per l’ambiente (-5%).
Proprio i rincari alimentari, a due cifre percentuali, sono per Deloitte il secondo fattore frenante. «Pagare di più per le proteine vegetali è chiedere molto al consumatore, che in questa fase semmai preferisce pagare di più per garantirsi buoni cibi tradizionali», rileva la ricerca. E poco importa se lo scarto di prezzo tra cibi tradizionali e alternativi si sia ristretto in questi mesi, per il rincari del 10-20% dei primi. Sui dati 2021, prima che tornasse a soffiare l’inflazione, Nielsenaveva censito un costo medio doppio per la carne bovina vegetale rispetto a quella animale, di oltre quattro volte per il pollo e di oltre tre per il maiale.
La terza “zeppa” riguarda i benefici dei cibi alternativi, che sempre più consumatori mettono in dubbio, specie per gli aspetti alimentari. Deloitte suggerisce a produttori e investitori, che dal 2010 hanno versato 10 miliardi e non smettono di cercare la proteina del futuro, tre strategie: «Esplorare nuove forme di penetrazione dei mercati, ridurre il divario dei costi, creare prodotti sani e anche gustosi». Obiettivi difficili, ma «indispensabili per tornare a crescere forte».
I dati trimestrali dicono, invece, che i pionieri difendono a fatica i ricavi, mentre sono le perdite ad aumentare a due cifre. Oatly, leader svedese nei prodotti caseari alternativi, ha aumentato di pochi spiccioli i ricavi, a 183 milioni, ma tagliato le attese 2022 di 100 milioni, e tra luglio e settembre il rosso è salito a 107 milioni, quarto trimestre di fila in perdita. Oatly prova a rimediare con drastici tagli del costo del lavoro (il 25%), senza dire quante persone riguardi.
«Dati inferiori alle nostre aspettative, specie per le restrizioni Covid in Asia, i problemi della catena produttiva americana e gli effetti valutari», ha detto l’ad Toni Petersson. Beyond meat, leader delle carni vegetali fornitore di Mc Donald’s e Whole Foods (e di supermercati e catene italiane), il 10 ha annunciato «risultati deludenti», con ricavi giù del 22% a 82 milioni e un rosso di 101 milioni. Subito è partita la «significativa riduzione dei costi operativi» e un’azione di marketing verso «i segmenti con miglior bilanciamento tra crescita a breve termine e opportunità a lungo termine». L’Eldorado resta lontano.