la Repubblica, 17 novembre 2022
Il cibo costa il triplo
«Si parla di inflazione al 13% annuo, ma io vi dico, concretamente, che il prezzo dello zucchero da euro 0,59 di gennaio 2022, il 28 ottobre 2022 costa euro 1,39 da Lidl ed Eurospin e 1,79 da Conad per non parlare di farina da 0,39 a 0,79 e 0,89 e quant’altro, altro che 13%! I dati ufficiali non stanno dietro alla velocità degli aumenti». La percezione di Sonia Tognoni, lettrice di Repubblica, è condivisa da buona parte degli italiani. La Banca centrale europea misura ogni mese, con un sondaggio, l’inflazione percepita, oltre che le previsioni a uno e a tre anni: gli italiani risultano quasi sempre i più pessimisti. Quest’anno per esempio ritenevano che l’inflazione fosse al 10% già a marzo, quando l’Istat rilevava invece un aumento di “solo” il 6,5%. Anche con l’ultimo sondaggio c’è uno scarto, ma la distanza si è un po’ accorciata perché a settembre l’inflazione percepita rimaneva ancora poco al di sopra del 10%, a fronte di un aumento effettivo dei prezzi dell’8,9%.
A condividere le preoccupazioni degli italiani le associazioni dei consumatori, che alcuni anni fa avevano avviato una battaglia per spingere l’Istat a una rilevazione più aderente alla realtà, che si è conclusa con la decisione dell’Istituto di misurare anche l’inflazione per quinti di spesa, accanto a quella media: cioè il carovita dei più ricchi e quello dei più poveri, oggi decisamente maggiore.
«Ognuno guarda al proprio paniere personale – spiega Federico Polidoro, dirigente Istat del servizio prezzi al consumo – mentre le nostre rilevazioni si riferiscono a un consumatore ideale che non esiste nella realtà, e che consuma proprio tutto, dal pane al trasporto aereo. Ognuno ha spese diverse, se è in affitto spenderà molto per l’abitazione, se usa molto l’auto spenderà molto in carburanti». Ma al di là dei “panieri individuali”, osserva Luigi Guiso, professore di Economia all’Einaudi Institute for Economics and Finance, «nessuno sa come i consumatori ponderano le loro risposte», ed è probabile che in realtà «non considerino neanche il loro di paniere, e questo introduce una distorsione sistematica». Cioè mentre l’Istat considera tutti e beni e i servizi acquistati e attribuisce loro un peso, per i consumatori «è abbastanza naturale, in un periodo in cui l’energia ha una dinamica sostenuta, che l’attenzione venga attirata da quello che aumenta di più». Insomma, chi compra non tiene conto di tutti i beni che acquista, e neanche del loro peso.
Quando si confrontano con temieconomici del resto, gli italiani risultano meno competenti rispetto ai cittadini di altri Paesi: secondo uno studio sul livello di educazione finanziaria della Banca d’Italia, l’Italia nel 2020 è risultata in 25esima posizione su 26 Paesi, davanti solo a Malta. Ma la percezione della gente sull’inflazione è importantissima «perché è sulla base delle percezioni che le persone decidono come spendere», afferma Guiso, aggiungendo però che «se si guardano le aspettative, tutte le famiglie si attendono una dinamica dei prezzi più contenuta, e quindi la stanno interpretando correttamente».
Una statistica molto più capillare, che indagasse le variazioni dei prezzi per categoria lavorativa, verrebbe avvertita come più aderente alla realtà? «Abbiamo considerato l’ipotesi di rilevazioni per gruppi di professioni, che includesse anche i pensionati, ma ci siamo resi conto che non avrebbe avuto senso – racconta Polidoro – perché ci sono ricchi e poveri in ogni categoria, persino tra i disoccupati». E quindi l’unica differenziazione al momento rimane quella per quinti di spesa, che ci ha permesso di scoprire che in questo momento ci sono ben quattro punti percentuali di differenza tra gli aumenti dei prezzi subiti dal 20% più ricco della popolazione rispetto a quelli del 20% più povero.