La Stampa, 17 novembre 2022
La rappresaglia di Putin
Non poteva non accadere, non è la prima volta che accade – missili russi erano già caduti in Moldova, e le mine vaganti avevano creato problemi alla navigazione nel Mar Nero – e accadrà di nuovo. Le due vittime civili che un attacco missilistico russo ha fatto in territorio polacco ricordano che una guerra è in corso in Europa, non alle porte di casa, ma dentro casa. Una guerra non può essere circoscritta, meno che mai quando assume queste dimensioni: la Russia aveva colpito Leopoli, a pochi passi dal confine con la Polonia, già il 24 febbraio scorso, ed era tornata a farlo ripetutamente. Lo sfoggio di potenza con piogge di missili e bombe è uno strumento di guerra anche psicologica, e Mosca vi fa ricorso metodicamente, anche perché è l’unica vera arma che le è rimasta.Il raid di martedì, con quasi 100 missili e droni lanciati contro l’Ucraina, è costato al Cremlino all’incirca un miliardo di dollari. Soldi tolti alle scuole e agli ospedali, ai pensionati e ai bambini, alle innovazioni e alla cultura, a tutto quello che Vladimir Putin dichiara di avere a cuore in Russia. Sono soldi tolti al futuro per rivendicare un passato impossibile. Eppure con una cadenza ormai settimanale il comando russo ordina un bombardamento spietato dell’Ucraina. Aleksandr Baunov, analista di Carnegie Politika, nota che questi bombardamenti, iniziati il 10 ottobre, segnano un cambiamento: «Se fino a settembre il ministero della Difesa russo... sosteneva di colpire soltanto bersagli militari e mai civili... oggi riferisce di centrali termiche distrutte, acclamato dalla folla». A febbraio, i russi e il loro leader avevano bisogno di pensare di svolgere una guerra «pulita», fatta «con i guanti». Oggi, di fronte a una sequenza di ritirate che non accenna a interrompersi, il presidente russo ritiene di dover offire a quello che considera il suo elettorato di riferimento la soddisfazione della rappresaglia.Da quando Kherson è stata riconquistata dall’Ucraina, nessuno ha più sentito una sola parola da Putin, prima molto loquace tra dissertazioni di pseudostoria e minacce. Al suo posto fa parlare i missili. Difficile che creda seriamente di poter piegare Kyiv alla resa lasciandola al freddo. Sembra più una vendetta, come le mine di cui è stata infarcita Kherson prima di venire abbandonata dall’esercito russo. Mosca continua a rivendicarla come proprio territorio, ma il modo in cui ha saccheggiato i suoi musei e distrutto le sue infrastrutture sembra più la ritorsione del folle che sfigura con l’acido la donna che lo rifiuta. Ogni pioggia di missili russi arriva – e Putin non lo ha nascosto – dopo ogni nuovo successo ucraino. L’obiettivo dei missili russi non è la vittoria, è quello di far vivere donne, anziani, bambini, malati ucraini al freddo e al buio, mentre sta arrivando la prima neve.L’incidente di Przewodow, invece di spaventare, sembra ridare fiato ai propagandisti russi: i talk show si interrogano se «i tedeschi siano al sicuro», e il ministero degli Esteri convoca l’ambasciatore della Polonia, nonostante sia la parte lesa. Del resto, diplomatici e militari russi avevano già minacciato in passato di colpire «gli itinerari dell’approvvigionamento all’Ucraina» che passano dall’Europa dell’Est, e per le strade di Mosca sfilano nazionalisti che invocano missili nucleari su Washington. Sceneggiate della propaganda, ma «anche un attacco incidentale del territorio Nato amplia inevitabilmente i limiti del lecito e possibile per Mosca», scrive Baunov. L’obiettivo prioritario del Cremlino oggi è giustificare la sconfitta, e fare un upgrade della guerra a uno scontro con la Nato e l’«Occidente collettivo» potrebbe essere un rischio, ma anche una tentazione.