la Repubblica, 17 novembre 2022
In lingua basca ci sono tredici modi per dire “farfalla”
Seguo dai giornali spagnoli la storia della Mano di Irulegi, ritrovamento del primo secolo avanti Cristo, con l’ansia di conoscerne gli sviluppi che riservo solo a certe serie tv. Ieri ho trovato sul Post un articolo pieno di rimandi di cui mi ha colpito una considerazione neutra – quasi un inciso. Dice che l’unicità del basco dipende dal fatto che è l’ultima lingua viva che deriva da quelle che si parlavano in Europa prima dell’Età del Bronzo, cioè “prima che le popolazioni provenienti dalla steppa eurasiatica migrassero nel continente europeo soppiantando gran parte della popolazione locale portandosi dietro la propria lingua, che oggi definiamo proto-indoeuropeo”. Dall’indoeuropeo derivano tutte le lingue neolatine compresa quella in cui state leggendo, ma anche le proto germaniche, da cui inglese e tedesco. Il basco no, è un reperto: è quel che resta di come si parlava in Europa prima che “dalle steppe”, dall’Asia, “migrassero” popoli che hanno nel tempo imposto la loro lingua e dato origine alle molte e meravigliose civiltà di cui i popoli d’Europa vanno fieri, ciascuno sovranamente. A volte è utile fare un ripasso di storia, ripercorrere a ritroso il confine fra migrazioni e invasioni: le conseguenze dicono chi siamo noi. La Mano di Irulegi (luogo vicino a Pamplona, Sud dei Pirenei) ha un’iscrizione in proto-basco, la lingua che si parlava fra Spagna e Francia prima che arrivassero gli stranieri delle steppe. Il basco è una lingua meravigliosa, conosce tredici modi per dire farfalla – racconta Fernando Aramburu. Una delle parole incise sulla mano (“sorioneku”) somiglia a “zorioneko”, che significa buona fortuna. Buona fortuna, dice la mano. A noi, a chi migra e a chi resta.