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 2022  novembre 16 Mercoledì calendario

Pedalando con Carlo Conti

Ha fatto tre Sanremo, qual è la prima immagine che le viene in mente?
«Sono due i momenti in cui mi sono emozionato. Nel 2015, al debutto, quando avevo fatto arrangiare come sigla iniziale La fanfara dell’uomo comune degli Emerson, Lake & Palmer: mi sentivo così, l’uomo comune che da Firenze è arrivato al Festival di Sanremo. E poi due anni dopo quando sono entrati dal fondo dell’Ariston Giorgio (Panariello) e Leonardo (Pieraccioni). Li ho visti arrivare e ho pensato: chi avrebbe mai immaginato di essere qui con loro un giorno?».
Carlo Conti è l’uomo comune che fa ascolti fuori dal comune. Quarant’anni di carriera, il re della scaletta per come la rispetta al secondo, la medietà è la sua virtù: mai una polemica, mai uno sconforto.
Il suo verbo preferito?
«Pedalare. Tale e Quale Show è andato molto bene (venerdì va in scena il Torneo dei Campioni, mentre la finale del programma settimana scorsa è stata vista da quasi 4 milioni e mezzo di spettatori con il 28% di share, ndr) ma quando mi mandano i risultati dell’Auditel io rispondo sempre ai miei autori: bene, ma ora pedaliamo con i piedi per terra, un doppio bagno di umiltà. Perché la tv è come una gara di ciclismo, c’è la salita, poi la discesa, ma dopo arriva ancora un’altra salita». I
La sliding door della sua carriera?
«Non c’è stata, mi piace proprio questo. È stata una carriera in crescendo, passo dopo passo, un percorso gradino dopo gradino».
La sua passione come è nata?
«A 16 anni con la radio. Ho iniziato per scherzo al pomeriggio con il mio amico Andrea, con un giradischi e un registratore imitavamo Arbore e facevamo Basso Sgradimento: chiacchieravamo, prendevamo in giro i professori e poi facevamo girare le cassette in classe».
Uno Youtuber ante litteram... Poi è arrivato il periodo delle discoteche: è stato trasgressivo?
«No, per niente. Bevevo solo acqua, nemmeno una Coca Cola. Il dj però era al centro dell’attenzione e aveva sempre un bel riscontro femminile, dunque pur non essendo un adone è stato un periodo di notevole allegria e divertimento. Per tanto tempo, fino a prima del matrimonio, ho sofferto di dongiovannite. La mia è una grande forma di amore per le donne, credo nasca dalla figura fortissima di mia mamma per cui nutro grandissima stima e ammirazione, per i suoi sacrifici, per le sue difficoltà. Mio babbo è morto che avevo 18 mesi e lei mi ha fatto da babbo e da mamma, ha dedicato la sua vita a tirarmi su al meglio, il suo sogno era il posto fisso».
Che dicevano della sua «dongiovannite» i suoi amici Pieraccioni e Panariello?
«Per loro io ero l’Alberto Sordi del gruppo, quello che non si sarebbe mai sposato. Quando ho parlato di matrimonio non ci credeva nessuno dei due. Io non avevo mai convissuto prima, mai nemmeno uno spazzolino da denti in più a casa mia. Leonardo invece si fidanza e dopo cinque minuti va a convivere; Giorgio aspetta al massimo due mesi. Io ero quello che stava bene da solo».
Cosa vi lega?
«Aver fatto la gavetta insieme, le serate di successo e i flop, le speranze e le illusioni; e poi il successo l’uno dell’altro».
Mai un litigio tra di voi?
«Con me è impossibile litigare. Io non litigo con nessuno. Non capisco perché bisogna farlo. Se fossero tutti come me non ci sarebbe mai stata una guerra nel mondo, cerco sempre il punto di incontro che non vuol dire essere bischeri, ma avere un equilibrio. Quando la gente litiga la verità sta sempre nel mezzo e io cerco sempre quel mezzo».
È impossibile che lei dia un giudizio negativo su qualcuno...
«Mi sembra di sentire mia moglie... Nel mio ruolo devo avere un grande rispetto per tutti, specialmente per i colleghi e le colleghe, e poi davvero non conosco la parola invidia. Non porto rancore nemmeno se qualcuno si è comportato in maniera scorretta nei miei confronti. Il tempo lenisce le asperità».
Mai un peccato di ego?
«Non sono il tipo. Giusto da ragazzo. Sulla mia macchina, un 127 arancione, feci fare un adesivo con la scritta Dj Carlo Conti. Molto maranza. Ma dopo una settimana mi avevano già tolto metà delle lettere».
Per scelta di vita nel 2016 ha deciso di lasciare «L’Eredità». È stato un passo indietro?
«Sì, è stata una scelta importantissima, perché il preserale, essere in onda tutti i giorni, crea un rapporto di fedeltà, stima e rispetto con il pubblico, crea una complicità che nessun altro tipo di programma riesce a costruire. Per personaggi come me l’appuntamento quotidiano è fondamentale, ti dà una forza particolare. E penso che sia un discorso che vale anche per Amadeus, per Gerry Scotti, per Bonolis...». Ride: «Diciamo che averlo lasciato è stata una forma di prepensionamento...».