la Repubblica, 15 novembre 2022
Ong, il potere ai prefetti
Bypassare il filtro della magistratura (con tutte le garanzie che questo comporta per gli indagati) e rimettere nelle mani del governo (attraverso i prefetti) l’unica arma efficace per fermare le Ong: il sequestro delle navi. È questo, il ritorno dal profilo penale a quello ammini-strativo, il cuore del provvedimento allo studio degli uffici legali del Viminale che il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi intende portare all’esame del Consiglio dei ministri in una delle prossime sedute.
Tempi rapidi ma non rapidissimi perché, fatto salvo l’obiettivo di bloccare la flotta umanitaria considerata “taxi del mare” a dispetto delle tante inchieste andate in archivio in questi anni, la strada per raggiungerlo è seminata di bucce di banana. E dopo l’esperienza del frettoloso decreto anti rave, i tecnici consigliano prudenza. Non si possono ignorare i rilievi della Corte costituzionale, della Cassazione e delle sentenze nel frattempo intervenute, non è opportuno riproporre le multe milionarie cassate dopo l’intervento del presidente della Repubblica Mattarella che le ritenne «sproporzionate» e non si può neanche scherzare con il fuoco provando a normare quando il soccorso di un’imbarcazione è necessario e quando non lo è.
Multe e sequestri ai prefetti
Riportare multe e sequestri nelle mani dei prefetti, e dunque del governo, invece si può. Ed è la strada giudicata più rapida ed efficace per fermare le navi che dovessero operare in violazione di decreti interministeriali di divieto di ingresso o ingresso temporaneo nelle acque italiane come quello firmato nei confronti della Sos Humanity e della Geo Barents, fatte entrare nel porto di Catania solo per lo sbarco dei fragili. Che continuerà ad essere il mantra del governo. Quando il decreto sicurezza voluto da Salvini fu modificato le sanzioni (da 10 a 50.000 euro) furono ricondotte all’ambito penale, legate cioè a un’eventuale contestazione di reato al comandante o alla Ong e alla verifica processuale delle accuse: tempi lunghi e tante garanzie per gli indagati.
Adesso invece, con il ritorno alla sanzione amministrativa, sarà il prefetto a disporre immediatamente la multa (la cui entità dovrebbe rimanere inalterata) e, in caso di reiterazione della condotta, il sequestro e poi la confisca della nave.
I soccorsi selettivi
Molto più complicata l’idea politica di normare la tipologia di soccorso ritenuto legittimo distinguendo tra imbarcazioni a rischio di affondare e viaggi non a rischio. Una selezione che – secondo l’impostazione del governo – dovrebbe consentire alle navi umanitarie di intervenire soltanto in quei casi in cui le autorità marittime competenti dichiarino “evento Sar”, non quindi nei soccorsi che il governo in questi giorni ha definito «autonomi e operati senza il coordinamento delle autorità».
Una selezione funzionale alla teoria più volte espressa da Giorgia Meloni secondo cui le persone a bordo delle Ong sono «migranti e non naufraghi». Nei fatti, quello che succede di solito è che Malta, la Libia e adesso anche l’Italia ignorano volutamente le segnalazioni di Alarm phone o gli Sos che arrivano da gommoni e barche e non rispondono alle comunicazioni inviate dalle navi umanitarie che, alla fine, intervengono comunque a soccorrere i migranti stipati a bordo di imbarcazioni fatiscenti, sovraffollate e senza dotazioni di sicurezza. Quanto basta per definire il rischio senza aspettare un naufragio. Questi per altro sono i criteri a cui si attiene la guardia costiera quando soccorre i migranti in zona Sar italiana. E anche l’Oim ribadisce: «Tutte le barche che partono dalla Libia sono insicure, di pessima qualità e con un carico di persone eccessivo. Sono da considerarsi tutte a rischio di naufragio».