Corriere della Sera, 13 novembre 2022
Intervista a Felix Auger-Aliassime
TORINO In blazer, gilet grigio e pantaloni bianchi, a passeggio nel centro di Torino tra le foto d’epoca che celebrano i 50 anni dell’Atp, Felix Auger-Aliassime sembra uscito dalle pagine di un romanzo di Giorgio Bassani. «Di Bassani non so nulla, ma se parliamo di gesti bianchi non ho dubbi su chi sia stato il giocatore che più mi ha influenzato: Arthur Ashe» sorride il 22enne canadese capace di vincere tre tornei in tre settimane (Firenze, Anversa, Basilea), issandosi al n.6 della classifica mondiale. È Felix, il top 10 più giovane dopo Alcaraz e Rune (classe 2003), la matricola che inaugura oggi le Atp Finals (contro Ruud): «Come cambia la vita: sono protagonista del torneo che fino all’anno scorso vedevo alla tv...».
Una rincorsa a Torino mai zoppicante, Felix: a cosa deve il salto di qualità?
«Alla costanza di rendimento. Giocare bene a sprazzi serve a poco: la striscia di 16 vittorie consecutive che si è interrotta a Parigi dimostra che il mio livello è cresciuto. Insieme ai quattro titoli stagionali, ai quarti in Australia e in cinque Master 1000».
Toni Nadal, zio di Rafa, è sempre al suo fianco?
«Mi allena Frederic Fontang, ex professionista francese. Toni è mentore e advisor, dopo ogni match parliamo per ore degli aspetti del mio tennis da migliorare. La mentalità vincente di Rafa proviene da Toni».
Con i suoi 36 anni, insieme a Djokovic (35), Nadal parte in pole al Master. Cosa ci dice questo dettaglio sulla salute del suo sport?
«Il mix tra veterani e giovani è esplosivo. Grazie ai progressi delle tecniche di allenamento e recupero, le carriere si allungano ma noi ragazzi impariamo in fretta. I risultati lo dimostrano: il n.1, Carlos Alcaraz, ha 19 anni. Io alle Atp Finals arrivo con una grande fiducia, convinto che nulla sia impossibile».
Federer si è appena ritirato ma gli altri due Immortali sono ancora tra noi. Eppure lei, nato l’8 agosto 2000 (19 anni esatti dopo il maestro svizzero), dice di essersi ispirato a un tennista di un’altra epoca, Arthur Ashe.
«Ho letto molto su di lui. Ho ben presente quanto sia difficile diventare un campione ma Ashe ha dovuto lottare contro ogni tipo di stereotipo. Per me, in confronto, è tutto facile. È stato un visionario che ha scoperto Noah in Africa e ha aperto le porte ai giocatori di colore, come me. Un pioniere senza il quale io oggi non sarei qui».
Ci racconta delle sue origini, Felix?
«Papà Sam è togolese, mamma Marie è canadese francofona. Sono figlio di due culture e due religioni, musulmana e cattolica: mi porto questa diversità in giro per il mondo».
I suoi legami con l’Africa?
«In Togo sono stato una volta, nel 2013. Vorrei tornarci presto. Quello che so del Togo è ciò che mi ha raccontato mio padre, emigrato a Montreal in cerca di un lavoro e di una vita migliore. In Canada è ripartito da zero. È da lui che ho imparato l’importanza dell’impegno nel lavoro, la voglia di cogliere le occasioni. Oggi che sono top 10 capisco il potere d’influenza che posso esercitare sui bambini africani. Due anni fa ho avviato un progetto nel nord del Paese per migliorare scuole, istruzione, sanità».
Il doppio cognome sottolinea la sua multiculturalità.
«Ci tengo, è la mia ricchezza. Aliassime è un nome musulmano, religione che non pratico. Ho la mente aperta, non conosco pregiudizi».
Le sue sfide con la nouvelle vague italiana stanno diventando un classico. Chi tra Sinner, Berrettini e Musetti le crea più problemi?
«Con Matteo sono sotto 4-1 nei precedenti, a mia discolpa va detto che le ultime due sconfitte sono arrivate in Laver Cup, un torneo esibizione con super tie-break al terzo. La sua potenza è strabiliante. Sinner e Musetti stanno ancora crescendo, come me. Il potenziale Slam è di Jannik, ma Lorenzo è in possesso di una varietà di colpi eccezionale».
Felix lei sembra meno monotematico di tanti suoi coetanei: cosa fa quando non gioca a tennis?
«Mi piace guardarmi intorno: Ponte Vecchio a Firenze, il Pantheon a Roma, più Città del Vaticano, Piazza San Carlo qui a Torino. Sono curioso, tornerò da turista per visitare i vostri musei. Ho solo 22 anni, gioco da quando ne avevo 4: grazie a un’intuizione di mio padre, ho seguito sul campo mia sorella Malika. Ma non mi interessano solo le palle da tennis».