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 2022  novembre 13 Domenica calendario

Ritratto di Mark Kelly, il neo governatore dell’Arizona


Phoenix. Faceva spesso campagna elettorale da solo, con lo stesso bomber da aviatore di Marina con cui ha festeggiato ieri la vittoria. Affittava un aeroplano e sorvolava il deserto, per incontrare gli elettori dell’Arizona. Obama lo aveva definito «il vero Top Gun».
Dopo 39 voli di combattimento nell’operazione Desert Storm e quattro missioni da astronauta, Mark Kelly si è trovato di fronte il 36enne Blake Masters, discepolo negazionista di Trump, nessuna esperienza politica ma nelle tasche 15 milioni di dollari donati dal suo ex capo, il miliardario della Silicon Valley Peter Thiel. I democratici temevano che il seggio al Senato di Kelly fosse vulnerabile. In un dibattito a ottobre, Masters lo aveva massacrato sull’inflazione, sul fentanyl e i «clandestini» alla frontiera col Messico; Kelly aveva preso le distanze dal presidente Biden sulla sicurezza al confine. Ma alla fine ha vinto con un vantaggio del 6%.
Un tempo era la moglie di Kelly, Gabby Giffords, la «politica di famiglia». Era deputata dell’Arizona, finché nel 2011 un ventiduenne schizofrenico paranoide ossessionato da lei le sparò alla testa e uccise altre 6 persone. Giffords lasciò la Camera, non riusciva a parlare né a camminare, ma col tempo è tornata in piedi. Col marito ha fondato un’associazione per il controllo delle armi e la salute mentale. Ieri Gabby era al fianco di Mark a Phoenix, ad applaudirlo mentre elogiava John McCain, lo storico senatore repubblicano dell’Arizona del quale occupa il seggio dal 2020 (un’elezione speciale fu indetta alla sua morte). Kelly ha promesso di lavorare per tutti – democratici, indipendenti e repubblicani – come faceva McCain: «Incarnava ciò che significa essere un leader, costruiva ponti».
In campagna elettorale, Kelly ha scoperto che il modo più efficace per attaccare Masters negli spot televisivi era citare le sue stesse parole: le posizioni anti-aborto e xenofobe che infatti in parte ha smussato in corsa.
Masters e Kari Lake, che a un evento invitò ad andarsene chiunque fosse un sostenitore di McCain, fanno parte di una corrente che ha spinto il partito repubblicano dell’Arizona verso l’estrema destra, epurando i colleghi che rifiutavano di definire «rubata» l’elezione vinta da Biden. McCain, eroe di guerra e il più influente repubblicano dell’Arizona dell’ultimo quarto di secolo, veniva definito un «Rino» (Republican In Name Only) già prima che si opponesse a Trump. I conservatori cristiani dell’Arizona non gli hanno perdonato l’aver bollato come «intolleranti» predicatori alla Pat Robertson, di aver lavorato per la riforma dell’immigrazione con Ted Kennedy, di aver negato ai negozi il potere di respingere i clienti gay. Lake e Masters corrono nella tradizione del governatore Evan Mecham (1986), che abolì la festività di Martin Luther King e, messo sotto impeachment per aver usato fondi pubblici per la sua concessionaria d’auto, gridò al complotto. O come lo sceriffo Joe Arpaio, feroce con gli immigrati: graziato da Trump, a 90 anni non molla e si è candidato a sindaco di un piccolo centro (ha perso). L’Arizona va in un’altra direzione. Phoenix è la quinta città d’America e quella in più rapida crescita, meta di immigrati, pensionati, californiani e aziende high tech. L’estrema destra evoca lo spettro di una nuova California (valori liberal, tasse, case troppo costose, mancanza d’acqua per tutti). Kelly non nega i problemi ma ha convinto gli elettori che cercare soluzioni è più proficuo che parlare di cospirazioni.