La Stampa, 13 novembre 2022
Un Banksy a Borodyanka
Si alza leggera sulle mani, in verticale verso il cielo. Bianca e nera, nel costume d’atleta. Ha lo stesso colore della carcassa del palazzo attorno, sventrato dalle bombe. Nel cimitero di cemento di Borodyanka, sembra lei, l’ultima opera di Banksy in equilibrio tra vita, forza e speranza, la vera colonna che tiene su tutta quella distruzione. L’artista di Bristol ha lasciato la sua firma in Ucraina. Anzi, forse più di una. A 70 chilometri a Ovest di Kiev, in uno dei primi villaggi devastati dai russi nelle settimane iniziali della guerra, il tratto inconfondibile dello street artist più famoso al mondo ha il volto della luce che sconfigge i mostri. Il coraggio di ricominciare, che vuole vincere sulla morte.
Il titolo dell’opera lo ha dato Banksy stesso su Instagram: «Borodyanka, Ukraine». È potentissima, per quanto piccola come una bambina. Suona come un grido «Stop war», in un’area della città simbolo dell’invasione dei soldati di Putin da Nord il 24 febbraio, liberata solo ad aprile. Ha ricominciato Borodyanka, ma quell’angolo del villaggio è ancora completamente interdetto, pericolante. Ogni ricostruzione è impossibile, i condomini sono ancora tagliati in due dai missili, si stagliano sulla via principale del centro, e ricordano le decine di morti sotto le macerie. A pochi passi dall’opera di Banksy, si trova un parco giochi sempre affollato di bambini, che provano a dimenticare bunker e sirene. Borodyanka è stato uno dei luoghi più colpiti dal bombardamento russo. Per questo, probabilmente, l’attivista e artista britannico ha scelto le sue rovine per tornare a farsi sentire.
Nel consueto manifesto in difesa dei più deboli, i protagonisti sono i bimbi. Questa volta ucraini, che da quasi nove mesi stanno lasciando l’infanzia sotto le macerie. Da Gaza a Betlemme, ai sobborghi di Kiev, l’attivismo militante di Banksy si imprime nel nostro immaginario, nelle foto che hanno già fatto il giro del pianeta. È un urlo pacifista, in bilico tra denuncia e sarcasmo. Come nella seconda traccia lasciata, anche se non firmata, a Borodyanka: un uomo che assomiglia a Putin, in abiti da judoka, buttato a terra da un ragazzino. Il presidente russo è cintura nera dell’arte marziale, anche se è stato sospeso della Federazione internazionale, di cui era presidente onorario. A Irpin, poi, l’artista che nessuno sa chi sia non si è dichiarato, ma pare abbia dedicato agli ucraini un altro murale: un’atleta di ginnastica ritmica si esibisce con il nastro, in punta di piedi su un buco nel cemento di un appartamento. L’ultimo graffio è sui muri di Kiev: due bimbi seduti su un cavallo di Frisia, trasformato in altalena. E sembra di sentirle, le voci dell’innocenza. A cui non si può spiegare: «Perché ancora guerra? Perché?». —