Tuttolibri, 12 novembre 2022
Chi conosce davvero Flaiano?
È ancora possibile oggi raccontare Flaiano? E se sì, come? Da queste domande prende l’avvio l’interessante lavoro di Renato Minore e Francesca Pansa che, nel cinquantesimo anniversario della morte, pubblicano con Mondadori Ennio l’alieno. Si tratta di una storia studiata, documentata, ma soprattutto «innamorata» dello scrittore e dell’intellettuale, dell’uomo che è stato. I due autori attingono dunque al Fondo Ennio Flaiano di Lugano, che comprende l’epistolario, gli scritti cinematografici e giornalistici; e all’altro Fondo dell’università di Pavia, in cui è depositato il materiale letterario. Ma attingono anche ai propri ricordi personali, di lui, Minore, che ha conosciuto Flaiano a Pescara e lo ha poi frequentato a Roma, e di lei, Pansa, che ha invece conosciuto la moglie Rosetta Rota, ormai vedova. I due autori non insistono su questa personale esperienza, non si fotografano accanto al loro protagonista, ma lo raccontano da una vicinanza calda e inusuale, mai esibita.
Minore e Pansa individuano e sviluppano alcuni aspetti tematici – gli anni a Pescara, il grande romanzo che è Tempo di uccidere, il cinema, Flaiano nell’ultimo periodo. Importante documento è l’epistolario che ci restituisce non solo Ennio nelle varie fasi della sua vita, ma anche il pezzo di storia nazionale di cui è testimone acuto e ironico, spesso caustico. Nei confronti della capitale, per esempio, che piano piano si è preso arrivando dalla provincia: «Roma è la cuccia calda, comoda, piena di pulci ma senza rimorsi». La città in cui conversare nei caffè, il teatro di interminabili passeggiate notturne con gli amici che ascoltano le sue battute fulminanti. Battute che sulla carta diventano aforismi e contribuiscono alla fama anche postuma di Flaiano, con il rischio sempre presente che la sua figura di intellettuale dal talento versatile sia ridotta allo scrittore umorista o satirico. In molti, critici e lettori citazionisti, sembrano quasi dimenticare il romanzo, vincitore del primo Premio Strega, nel ’47. Mentre la narrativa italiana di quegli anni si concentra sulla Resistenza e sul conflitto mondiale che ancora brucia nella memoria collettiva, Flaiano torna indietro, nell’Africa coloniale dove ha vissuto la sua guerra. Non ha un eroe da raccontare: il suo tenente fascista, che ha stuprato e ucciso una giovane etiope, è cupo, tormentato dalla colpa e dal rimorso, dalla paura del contagio. Non è tanto la lebbra il suo male, è più sottile e profondo, più vicino allo sgomento che prova nello scoprire chi è davvero. Degli anni del regime Ennio ricorderà che «l’unica protesta contro il fascismo era quella di non parlare mai delle cose ma sempre di altre cose».
La parte che gli autori dedicano al Flaiano bambino e ragazzo mi ha molto colpita per quella sua posizione dolorosa di ultimo figlio, settimo per la madre, addirittura nono per il padre che ne ha avuti anche da relazioni adulterine. Ennio è stato quindi un bambino indesiderato, che ha vissuto in famiglia il senso dell’abbandono, la solitudine, lo sguardo storto verso un fratello di troppo. Minore e Pansa riportano un padre rigido e distante, preso dagli affari e dalle donne; pensa che sia bene mandare il ragazzino in collegio a Roma. E una madre infelice, mortificata, che il figlio accosterà nei suoi versi alla Madonna dei sette dolori, venerata a Pescara. Alle prime trasgressioni da adolescente Ennio non sembra soffrire granché della minaccia «di essere mandato in guerra»: il peggio l’aveva già patito. Da questo ambiente familiare cresce un adulto disincantato e ferito, intelligente e amaro, a tratti cinico, ma anche con un forte senso dell’amicizia e delle relazioni umane. Un alieno: anche dopo la vittoria allo Strega si allontana a piedi verso casa, dove ospita per una notte un cane randagio incontrato per caso.
Un talento multiforme, di cui i due autori ricostruiscono il grande contributo al cinema del ’900: sua è la scrittura dei capolavori di Fellini. Sarà Rosa Rota – scienziata da giovane, una dei ragazzi di via Panisperna – a confidare da vedova la grande delusione per l’indifferenza del maestro verso la loro tragedia familiare, la grave disabilità della figlia Luisa detta Lè-Lè. Nel 1994, dopo più di vent’anni dalla morte di Ennio, Rosa pubblica Mi riguarda, in cui raccoglie gli scritti del marito e di altri otto autori, parenti a vario titolo di creature fragili. Commovente nelle presentazioni il racconto del muro di silenzio che circondava la malattia di Lè-Lè: «Ci sentivamo dei complici in una colpa che il codice sociale ci attribuiva. Eravamo isolati». Arrivano al punto di non far vedere più la figlia agli amici, intellettuali che frequentano la loro casa senza rivolgerle nemmeno un saluto.
Ennio l’alieno è insomma un libro prezioso, per scoprire o riscoprire un grande protagonista del ’900. E chissà con quali staffilate commenterebbe questo nostro oggi confuso e preoccupante.