La Lettura, 12 novembre 2022
Il dramma di Sissi
Elisabetta Amalia Eugenia di Wittelsbach, nata e cresciuta in Baviera, diventata imperatrice d’Austria, regina apostolica d’Ungheria, regina di Boemia e di Croazia a 16 anni, grazie al matrimonio con il cugino Francesco Giuseppe. Morta assassinata dall’anarchico Luigi Lucheni il 10 settembre 1898, a Ginevra. Ma per tutti, semplicemente Sissi. Compagna di vetrine viennesi di souvenir di Mozart, è arrivata fino a noi con il volto di Romy Schneider, protagonista della trilogia di Ernst Marischka. Curiosamente, pur in assenza di anniversari o ricorrenze, negli ultimi tempi Elisabetta d’Austria è tornata al centro dell’attenzione. Due serie tv, una attualmente su Netflix, e il film di Marie Kreutzer, Corsage (in arrivo da noi con Bim il 7 dicembre, con il titolo Il corsetto dell’imperatrice) con Vicky Krieps, premiata a Cannes come migliore attrice di Un certain regard. Scelto dall’Austria nella corsa all’Oscar per il miglior film internazionale. E candidato in tre categorie (film, regia, attrice) agli European Film Awards 2022.
Kreutzer ci conduce a Vienna, il 24 dicembre 1877, giorno del quarantesimo compleanno dell’imperatrice. Una figura complessa e seducente, segnata dalla perdita di due figli: la primogenita Sofia e Rodolfo, l’erede al trono, morto suicida. Più alta della media del suo tempo, con quel giro vita di 50 centimetri ritratto dai pittori di corte e sublimato da quelli più intimi a opera di Franz Xaver Winterhalter, fu una donna di grande modernità, spiega la regista a «la Lettura».
Perché ancora un film su Sissi?
«L’idea è venuta a Vicky Krieps. Me lo ha proposto e ho iniziato a studiare la sua vita; mi sono resa conto di quanto la sua fosse una parabola senza tempo. Ho scritto la sceneggiatura e l’ho mandata a Vicky. Senza di lei non avrei fatto il film».
Che donna è la sua imperatrice?
«Credo che fosse un temperamento malinconico, un’introversa che analizzava situazioni e persone. Scriveva molto: poesie, lettere, riflessioni... Era una persona intuitivamente critica, anche verso la monarchia, un apparato che ai suoi occhi non funzionava più per nessuno, né sovrani, né sudditi. Ma la sua non era una critica politica in senso classico, direi piuttosto esistenziale. Mi ha colpito il suo desiderio di controllo».
Ma non le era permesso esercitarlo.
«Esatto. Cercava di farlo sulle poche cose su cui poteva, come il suo corpo. La sua ossessione non aveva tanto a che fare con la vanità, quando con la possibilità di decidere. Il corsetto era come una gabbia, in un tempo in cui tutti ne avevano una. Per lei era importante che fosse sempre più stretto. Non era obbligata a stringerlo fino a quel punto. Ma era un modo di mantenere il controllo sulla propria immagine. E, insieme, una gabbia di cui poteva avere le chiavi».
In che senso la sente vicina a noi?
«Non volevo fare un film in costume. È un personaggio che racconta qualcosa di contemporaneo. La strada per l’uguaglianza tra uomini e donne è ancora lunga, molte cose sono addirittura peggiorate. La società continua a pretendere molto dalle donne, a decidere come devono comportarsi, a ostacolare le loro libertà».
L’imperatrice d’Austria era una donna di potere a cui si chiedeva apparenza, non sostanza. Dice: «È importante lasciare dietro a sé un bel ritratto».
«Lei avrebbe voluto intervenire, aveva idee sull’impero, sulla politica estera; ma non le era permesso. L’imperatore la voleva accanto ma per pura rappresentanza. Alle donne si continua a chiedere di comportarsi bene ed essere gradevoli. È ancora peggio per chi vive sotto i riflettori, peggio che mai in una monarchia»
Viene da pensare a Diana Spencer.
«Non ho fatto un collegamento consapevole, ma è venuto naturale pensare ad altre donne dal destino tragico. Marylin, per esempio. Non mi sembra cambiato molto, pensiamo all’ossessione della stampa per Meghan Markle. Però un legame tra Sissi e Diana esiste: quando soggiornava in Inghilterra andava in una tenuta degli Spencer».
Ci mostra rotture dell’etichetta: fumava, non toccava cibo a tavola, anche il suo modo di cavalcare e leggere poesie sembra poco consono.
«Confermate dagli storici. Li ho visti come gesti di ribellione».
Com’era il suo rapporto con i figli?
«Era ambivalente: anche in questo era moderna. Quando hai figli, vuoi che siano liberi ma anche che si comportino in un certo modo, li ami, ma vuoi che ti lascino libera. Nel suo caso non era solo un rapporto tra madre e figli, ma tra membri della famiglia reale, ognuno con il proprio ruolo. Per esempio, la figlia più piccola, Maria Valeria, forse la preferita, era molto severa, le spiegava come comportarsi, come fosse stata lei la madre».
Il suo Francesco Giuseppe è un uomo che non nasconde l’inadeguatezza.
«Anche lui ha il suo corsetto. Diventò imperatore molto giovane, consapevole che sarebbe stato giudicato. Ho scoperto che era più piccolo dell’imperatrice, ma questo non s’è mai visto nei ritratti, e neanche nei film. Ho voluto invece mostrarlo: è un segnale del fatto che lei era troppo per lui. Credo fosse una coppia che si amava senza capirsi».
Perché ha fatto incontrare Elisabetta con Louis Le Prince, considerato il primo inventore del cinema?
«Avevo letto di lui. Quell’incontro non è mai avvenuto, ma mi è sembrato plausibile che lei – così curiosa – potesse appassionarsi a questo nuovo mezzo. Scrivendo mi è venuta idea di inserirlo. Un modo di regalarle la possibilità di avere un’altra immagine di sé. Di fronte alla camera lei è libera. Il vero antagonista nel film per Elisabeth è la sua immagine, non il marito».
Che legame c’è tra la vostra Sissi e quella di Romy Schneider?
«Ho visto i film mentre scrivevo la sceneggiatura; non li avevo mai visti prima per intero. Non ci ho ritrovato la stessa donna che avevo studiato. Mi sembrano opere che raccontano più il tempo in cui sono nate che la storia reale. I film che si volevano vedere dopo la guerra, una storia tragica con molto amore e romanticismo di una bellissima principessa».