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 2022  novembre 12 Sabato calendario

Capa, il siciliano



Quando Robert Capa non era ancora una leggenda e Andrea Camilleri non era ancora il celebre scrittore che abbiamo conosciuto, i due si incontrano casualmente all’ombra del tempio della Concordia, ad Agrigento. Nessuno sa chi è l’altro. È una giornata assolata del luglio 1943 e gli Alleati sono appena sbarcati in Sicilia. Capa sembra attratto dal tempio e cerca le giuste inquadrature, il giovanissimo Camilleri è arrivato qui in bicicletta, preoccupato, per accertarsi che i templi non avessero subito danni dai bombardamenti.
L’incontro venne svelato soltanto molti anni dopo dallo scrittore: un ricordo nitido, fissato nella memoria. Il giovane Camilleri guardava ammirato lo sconosciuto fotografo americano in divisa, con tre o quattro macchine fotografiche che pendevano dal collo e un treppiede tra le mani. Improvvisamente uno scontro aereo li sorprese, cercarono riparo, Capa non perse l’occasione e fotografò da terra il combattimento aereo tra tedeschi e americani. Scampato il pericolo i due si salutarono (non parlavano la stessa lingua) scrivendo i loro nomi su due pezzi di carta che si scambiarono. Sul momento quel nome, Robert Capa, non suggerì nulla al futuro scrittore che soltanto più tardi ricorderà di avere incontrato il più grande fotografo di guerra di tutti i tempi.
Nato a Budapest il 22 ottobre 1913, naturalizzato americano, il vero nome di Robert Capa era Endre Ernö Friedmann. Aveva trent’anni quando si fece paracadutare in Sicilia con le sue macchine fotografiche per anticipare lo sbarco degli Alleati e farsi trovare pronto per il suo importante reportage sull’Operazione Husky. Sull’isola restò poco più di un mese, dal 9 luglio al 17 agosto, firmando grandi scatti. Di rullini ne riavvolse tanti, documentando una pagina di storia con un’efficacia e un’incisività che ancora oggi ci aiutano a capire quello che successe in quei giorni in Sicilia.
A Troina, in provincia di Enna, tra il 30 luglio e il 6 agosto 1943 si combattè una dura battaglia tra le forze militari italotedesche e la Settima armata, la prima dell’esercito americano a partecipare alla Seconda guerra mondiale nell’operazione Husky e nella prima fase della campagna d’Italia sotto il comando del generale George S. Patton. Capa documentò gli eventi di quei giorni fotografando i combattimenti, le macerie, ma anche la vita difficile della popolazione che affrontava e subiva le conseguenze del conflitto. Scatti memorabili che colgono, con un impeccabile bianco e nero, il «momento decisivo», come quello del contadino siciliano che indica con un bastone la strada a un ufficiale americano nelle campagne di Sperlinga.

Una selezione di quelle foto è stata acquisita dal Comune di Troina ed esposta nel museo della fotografia dedicato a Capa, l’unico al mondo, inaugurato lo scorso anno. Sono 62 le stampe fotografiche da negativo originale, di cui due terzi custodite soltanto lì, che compongono la preziosa collezione Fragments of War in Sicily. Un museo di rilevanza internazionale, realizzato in collaborazione con la Fondazione Famiglia Pintaura, fortemente voluto dall’attuale sindaco, Fabio Venezia, amante e cultore della fotografia. Tra le foto inedite, custodite all’interno dello spazio museale, provenienti direttamente dell’International Center of Photography di New York, c’è quella realizzata davanti al Duomo di Palermo, nel luglio del 1943, che ritrae una bambina sfollata seduta sopra un sacco di vettovaglie. La ragazzina si trova sotto una delle statue sacre della cattedrale e sullo sfondo si vede il campanile: ha un’aria apparentemente serena, indossa un vestito nero e sembra aspettare qualcuno che la venga a prendere. È la foto simbolo dell’attesa, paziente e composta, di una liberazione.
Capa fotografò molte altre guerre nel mondo prima del 25 maggio 1954, quando morì a causa di una mina mentre documentava la guerra in Indocina. Oggi la sua gloriosa carriera viene celebrata in tutto il mondo con mostre ed eventi.
Dopo l’esposizione sui ritratti glam ad artisti, scrittori, attori allestita ad Abano Terme nei mesi scorsi, due eventi sono in corso in questi giorni in Italia. A Palazzo Roverella di Rovigo, fino al 29 gennaio, si può visitare Robert Capa. L’opera 1932-1954, un’importante retrospettiva in 9 sezioni curata da Gabriel Bauret. Sono 366 le foto selezionate dagli archivi dell’agenzia Magnum, tra le più significative del fotografo ungherese.
La Guerra civile spagnola, la Cina sotto il fuoco del Giappone, la Seconda guerra mondiale, la terra promessa di Israele, i conflitti del Sudest asiatico sono accompagnati, nell’allestimento, dai giornali americani e francesi dell’epoca con i reportage pubblicati a sua firma e dai preziosi testi dello stesso Capa sulla tecnica fotografica. A scorrere sotto gli occhi del visitatore sono scatti – spesso adrenalinici – che mettono in evidenza la storia (vissuta in prima persona tra gli eventi drammatici del Novecento) e la personalità dell’artista.
«Se le tue foto non sono abbastanza buone è perché non sei andato abbastanza vicino», è una celebre frase di Capa, che non esitò mai a rischiare la vita pur di arrivare a realizzare la foto che aveva in mente. Di lui, Henry Cartier-Bresson – che gli fu amico e che con lui fondò la prima agenzia fotografica indipendente, la Magnum – diceva: «Per me Capa indossava l’abito di luce di un grande torero, ma non uccideva; da bravo giocatore, combatte generosamente per sé stesso e per gli altri in un turbine. La sorte ha voluto che fosse colpito all’apice della sua gloria».
A dimostrazione di quanto Robert Capa sia amato e ammirato in Italia c’è anche l’iniziativa del Mudec di Milano in occasione dei 110 anni dalla nascita (22 ottobre): la mostra dal titolo Robert Capa. Nella Storia aperta fino al 19 marzo con 80 stampe fotografiche è realizzata in collaborazione con l’agenzia Magnum.
Di Robert Capa tanto si conosce e tanto è stato scritto sul suo lavoro, eppure la sua opera esercita un fascino che pare inesauribile. Le mostre e il museo di Troina, contribuiscono ulteriormente a fare capire meglio il personaggio, la sua vita, il suo percorso, il bisogno di testimoniare e i rischi affrontati per informare. Capa amava la libertà, era autodidatta, aveva imparato il mestiere di fotoreporter direttamente dalla strada, buttandosi dentro la storia, a viso aperto, in prima linea. Dietro il suo atteggiamento ironico, simpatico e un po’ guascone nascondeva la dote di una grande sensibilità d’animo. Usava un linguaggio visivo diretto, senza filtri, da fotografo delle emozioni, attirato dal «materiale umano». Per questo la frase che ripeteva spesso – «Ama la gente e faglielo capire» – contiene il suo ritratto più veritiero.