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 2022  novembre 12 Sabato calendario

Ritratto i Stephen Crane


Stephen Crane appartiene a quella non folta famiglia di scrittori che suscitano la devozione di altri scrittori: nel suo caso i primi nomi che vengono in mente sono quelli di Conrad, che gli fu amico e gli dedicò molti ritratti affettuosi, e di Hemingway, che inVerdi colline d’Africa lo cita insieme a Henry James e a Mark Twain come maestro di stile. A loro si aggiunge adesso Paul Auster, autore della monumentale biografia Ragazzo in fiamme. Vita e opere di Stephen Crane appena uscita presso Einaudi nella traduzione di CristianaMennella. La vita di Crane fu così breve (1871-1900) e così schiva che quando nel 1923 apparve la biografia di Thomas Beer, Conrad commentò: «E dunque alla fine è successa, questa cosa che non mi aspettavo di vedere! Mai, infatti, avevo pensato che la biografia di Stephen Crane potesse apparire nell’arco della mia vita». Cosa direbbe ora, un secolo dopo, di fronte alle quasi mille pagine del libro di Auster? Il fatto è che in Crane tutto è smilzo e defilato, la sua figura, la sua presenza nella società letteraria, la brevità dei suoi testi, l’estemporaneità dei suoi reportage di guerra: al punto che, con l’eccezione delSegno rosso del coraggio, nelle storie letterarie la sua opera si compendia di norma in un solo racconto “esemplare”, The Open Boat. Contro questo cliché si è mosso Paul Auster, che pur accettando fin dal titolo la vulgata della vita che si brucia in un attimo, ha raccontato e montato a modo suo (cioè da scrittore prima che da studioso) un’immensa mole di documenti, con il passo lento e analitico che siamo abituati ad associare a biografie di autori come Voltaire, Puškin, Proust, Tolstoj. Indignato dal fatto che «Crane sia ormai nelle mani degli specialisti», Auster gli erige un monumento in cui la filologia è sempre al servizio dell’interpretazione, interpretazione che a sua volta punta dritta a fare di Crane il primo autore veramente moderno della letteratura americana: «Ragazzo in fiamme di rara precocità a cui fu impedito di entrare nella pienezzadell’età adulta, Crane è la risposta americana a Keats e Shelley, a Schubert e Mozart, e se continua a vivere come loro, è perché le sue opere non sono mai invecchiate».Ma la mole del libro di Auster non è dovuta solo alla meticolosità investigativa con cui la vita di Crane è ricostruita quasi giorno per giorno: in gran parte dipende invece dalla scala 1: 1 con cui sono presentati i romanzi e i racconti di Crane, con lunghe citazioni e lunghe parafrasi e chiose e commenti che ci restituiscono, nella forma tipicamente anglosassone del companion, un Crane riscritto da Auster. E poiché questo avviene anche al riguardo dei reportage di guerra (Messico, Grecia, Cuba), ne risulta un superamento della dicotomia (che invece Crane viveva inprima persona come una vera e propria lacerazione) fra il narratore e il giornalista, anche perché come un prestigiatore Auster passa senza transizioni dagli articoli di giornale ai racconti che quasi sistematicamente ne venivano ricavati dopo breve tempo ( tanto che alla fine, prendendo atto della propria operazione di montaggio, si vede costretto a un’affermazione impegnativa: «Poco importa qual è la forma in cui lavora Crane, narrativa, non narrativa o altro» ). In ogni caso l’enfasi sulla consustanziale adolescenzialità del suo autore porta Auster ad alcune esagerazioni, come quando, interrogandosi sui possibili capolavori che Crane non ebbe il tempo di scrivere (e dimenticandosi di casi come quello di Rimbaud, che sopravvisse ase stesso per diventare un mercante di zanne d’elefante), si azzarda ad affermare che «avrebbe potuto produrre meraviglie in stile parlato simili a Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Céline», o quando vede nel Segno rosso del coraggio l’annuncio di tutto il Novecento, in particolare di cattedrali dell’ «interiorità appassionata» come l’Ulisse e la Ricerca del tempo perduto. È indubbio che Il segno rosso sia un libro bellissimo per il ritmo, la concentrazione, l’energia delle frequentissime metafore ( soprattutto in ambito cromatico), e naturalmente per il filtro emotivo e psicologico che fa della mente del protagonista il vero campo di battaglia (lo stesso autore definì il romanzo «un ritratto psicologico della paura»): ma questo non può dirsi, per differenti motivi, di romanzi fra loro diversissimi come Lord Jim oIl richiamo della foresta? In altre parole, non credo che novecentizzare Crane sia rendergli un gran servigio, soprattutto se per sorreggere la tesi gli si sovrappone il mentalismo di autori come Henry James o Virginia Woolf. Minuzie, comunque, di fronte alla passione e all’acribia di un’impresa d’altri tempi che da un lato fa giustizia del «guazzabuglio macchiettistico semiromanzato» di Thomas Beer, dall’altro ha l’umiltà di presentarsi come un «sottoprodotto» ( così sempre Auster) delle fatiche dei due massimi studiosi di Crane, Stanley Wertheim e Paul Sorrentino.