la Repubblica, 12 novembre 2022
La prigionia di Alessia Piperno: pomodori marci e bende sugli occhi
La saracinesca si alza alle 9. Papà Alberto Piperno è sbarbato. Finalmente sorride dietro il bancone della sua libreria. In via Colli Albani, nel quartiere dove è nato, è un andirivieni di amici che lo abbracciano. «Alessia è a casa, al sicuro», dice. Sistema la merce di Natale e sospira: «Sarà un 25 dicembre straordinario». Sulla cassa i mazzi di fiori da parte dei romani.
Signor Piperno, come sta Alessia?
«Bene, anche se è molto scossa e fragile. Stanotte è tornata bambina, ha dormito nel lettone tra me e mia moglie. Abbiamo riposato poco ma serenamente».
Nei 45 giorni nel carcere di Evin, le hanno spiegato perché è stata arrestata?
«L’hanno interrogata più di una volta. Sapevano già tutto della sua vita, impressionante. I motivi, se vorrà, ve li spiegherà lei. In cella erano in sei. È stata dura, mia figlia è stata più forte».
Cosa le ha raccontato?
«Non ha subito violenze fisiche ma psicologiche. Veniva bendata sia se andava fuori per i cinque minuti che le concedevano, due volte a settimana, per prendere aria, sia se la spostavano da un posto all’altro di Evin».
Le davano da mangiare?
«Ha perso 8 chili, da 52 è passata a 44, la muscolatura si è indebolita. Lei è vegetariana e chiedeva pomodori.
Glieli davano, ma marci. E lei mi ha detto: “Papà, li ho mangiati per riprendermi”. Povera figlia mia. Poi è passata al pane e zucchero, si èripresa un po’. Al mattino c’erano una tazza di tè e un cetriolo».
Il 15 ottobre scoppia l’incendio a Evin. Cosa ricorda?
«La notte più brutta della mia vita.
Alessia dalla sua cella sentiva le bombe, non respirava per il fumo.
Una donna le ha dato un asciugamano imbevuto d’acqua, l’ha messo sul naso e la bocca e si è riparata sotto le coperte. Noi eravamo disperati. Solo la mattina dopo ci è stato detto che stava bene».
Come avete vissuto quei giorni?
«Malissimo. Volevo partire e andare a Teheran e dire a chi l’aveva carcerata di prendere me. Di impiccarmi, se era necessario. Tutto pur di riavere Alessia».
Sua figlia ha mai pensato di non farcela?
«Sì, soprattutto durante l’incendio.
Poi pensava che io o mia moglie saremmo morti per il dolore. La sua paura più grande era tornare e non trovarci vivi. Quando l’hanno liberata, è stata bendata di nuovo.
Anche lì ha temuto per la sua vita, non capiva se stava cambiando carcere. Fuori Evin ha incontrato l’ambasciatore Giuseppe Perrone, le ha detto che stava tornando a casa.
Ha subito chiamato mia moglie.
Gridava: “Mamma, mamma” ma cadeva la linea. Era già in volo».
L’aereo arriva dentro l’hangar di Ciampino.
«L’emozione era alle stelle. Appena Alessia è scesa mia moglie è corsa ad abbracciarla. Non ricordo cosa ci siamo detti, solo che eravamo troppofelici».
Avevate avuto sentore di una imminente liberazione?
«No. Il ministro Tajani martedì ci aveva incontrati e ci aveva detto solo: “Ci metto tutte le mie forze per riportarla a casa”. Alessia è stata l’unica europea liberata grazie al lavoro del nostro Stato».
Ripartirà presto?
«È la sua natura, non si può cambiare. Adesso resta un po’ con noi. Poi, sarà lei a scrivere il suo futuro».