La Stampa, 12 novembre 2022
Meloni ha tempo
Ricostruire un rapporto civile fra opinione pubblica, vincoli internazionali e Unione europea è una delle più importanti se non – forse – la più importante fra le funzioni storiche del governo Meloni. Il deteriorarsi di quel rapporto, all’indomani della crisi del debito sovrano nel 2011, è stata una delle cause scatenanti dell’insurrezione populista che ha segnato il Paese nell’ultimo decennio. Cavalcando quell’insurrezione e le sue ragioni, oltreché approfittando di tanti, madornali errori altrui, Giorgia Meloni è riuscita a vincere le elezioni e arrivare al governo. Ma adesso non può che lavorare a ricomporre la frattura fra il suo stesso elettorato e le condizioni imposte dal contesto europeo e internazionale. Per la semplice ragione che quelle condizioni possono sì, entro una certa misura, essere negoziate, ma non possono essere rifiutate in blocco senza pregiudizio per gli interessi nazionali.E anche se le si vuole negoziare, comunque il negoziato richiede che ci si sieda a tavola, si accettino le regole del galateo e si trovino degli alleati. Nelle sue prime tre settimane di governo Meloni ha dato chiari segnali di avere ben compreso di dover svolgere questa funzione. La decisione di recarsi prima di tutto a Bruxelles e di incontrarvi i vertici delle istituzioni comunitarie e la grande cautela nel predisporre la legge di stabilità, in positivo, la scelta di non enfatizzare per il momento i buoni rapporti con Polonia e Ungheria, in negativo, sono i più importanti fra quei segnali. Il dialogo in corso con i vertici del Partito popolare europeo è meno importante, forse, ma tutt’altro che trascurabile. Il presidente del Consiglio non è andato a cercarsi risse, insomma. Al contrario, ha cercato di smentire certe narrazioni apocalittiche che, all’estero, avevano accompagnato la sua ascesa.Al contempo, il governo ha cercato di curare il «fronte interno» piantando alcune bandierine. Alcune esclusivamente simboliche, come il cambio di denominazione dei ministeri. Altre più simboliche che sostanziali, a motivo del loro impatto tutto sommato circoscritto, come il decreto legge sui rave party e la decisione di rallentare lo sbarco dei migranti dalle imbarcazioni delle Ong. L’intento è chiaro: utilizzare gli scarsi margini di movimento politico disponibili per presentare all’opinione pubblica il profilo del nuovo governo e marcare la discontinuità con i gabinetti precedenti. Ma i risultati sono stati modesti: alla fine i migranti sono sbarcati tutti e il decreto legge sui rave party sarà modificato. In più, com’è ben noto, sui migranti Meloni – che, come detto, tutto cercava tranne che risse – se n’è trovata una, e pure bella grossa, con la Francia. Non è ancora chiarissimo che cosa sia accaduto di preciso. L’impressione è che al di qua delle Alpi si sia peccato di leggerezza nello sbandierare la disponibilità francese a fini interni, ossia allo scopo di coprire l’incapacità di fermare gli sbarchi; e che al di là si sia sottovalutato l’impatto politico domestico che avrebbe avuto l’approdo a Tolone della Ocean Viking. E che proprio per rimediare a questa sottovalutazione i francesi si siano poi trovati costretti a reagire in maniera sproporzionata – in particolare col tentativo discutibile e diplomaticamente rischioso di coinvolgere nel conflitto gli altri partner europei. Ne è uscito uno scontro inopportuno e dannoso, per l’Italia ma anche per la Francia, due Paesi che su dossier cruciali come l’energia e la revisione del patto di stabilità avrebbero invece tutto l’interesse a stringere un forte rapporto di collaborazione. Tanto più se consideriamo i segnali di «sganciamento» dall’Europa che sono venuti in queste ultime settimane dalla Germania.La vicenda Ocean Viking ha mostrato quanto complesso sia ricostruire un rapporto non troppo conflittuale fra l’opinione pubblica e il contesto europeo e internazionale, perfino quando su uno dei due fronti ci si muove su un terreno soprattutto dimostrativo. Questo è un governo di destra votato da elettori di destra, ed è del tutto legittimo che faccia politiche di destra. Il problema migratorio, in particolare, non può certo essere affrontato a prescindere dai diritti umani, ma nemmeno può essere ridotto esclusivamente a una questione di diritti umani: uno Stato che perde il controllo dei propri confini smette di essere uno Stato. Non per caso la maggioranza dell’opinione pubblica chiede che i confini siano vigilati – e non certo solo in Italia, come dimostra, appunto, la reazione francese. Ma proprio perché la funzione storica del governo Meloni, ricucire l’interno con l’esterno, è così delicata, viene da chiedersi se il governo abbia fatto bene, in queste prime tre settimane, a cedere a una certa, disordinata ansia dimostrativa. È vero che la politica dei nostri tempi ha una dimensione simbolica e comunicativa del tutto ipertrofica e vive l’angoscia dell’immediato. Ed è vero pure che pesa la competizione interna alla maggioranza. Tuttavia, questo governo gode del duplice privilegio di un’opposizione fragile e divisa e di una prospettiva di diciotto mesi privi di elezioni nazionali. Insomma: ha tempo. Potrebbe usarlo per scendere sul terreno identitario in una forma più meditata e strutturata, anziché sotto lo stimolo delle emergenze.