la Repubblica, 12 novembre 2022
Bettini riunisce i filo-5S
Succede alle presentazioni dei libri che si crei un momento cult, un fuori programma che anima il rituale, di solito quando dalla platea arriva qualcosa di imprevisto. Nel caso del vernissage all’Auditorium di Roma per il nuovo libro di Goffredo Bettini, ideologo di almeno due segretari del Partito democratico, il momento è mentre parla l’ospite d’onore Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle che da un paio d’anni ha preso il posto dei leader dem come destinatario dei consigli bettiniani. Conte sta spiegando perché non si alleerà con il Pd nemmeno alle regionali del Lazio e chiude così il concetto: «Ho posto delle condizioni, non posso rinunciare ai miei valori e alla mia tradizione». Un signore barbuto in sala non resiste e sbotta: «La tua tradizione?E qual è la tua tradizione?». Dopo un comprensibile istante di sorpresa, un irritato Conte prova a parare il colpo con una battuta memorabile: «Ma questo è massimalismo!». Se doveva essere la presentazione di un libro (A sinistra, da capo,edizioni Paper first, la casa editrice del Fatto quotidiano, da sempre sensibile alle sorti del Pd) è stato un successo: sala gremita, volti noti e tanti politici, coda al firma-copie. Se doveva essere il battesimo della corrente filo-M5S del Pd in vista del congresso ha funzionato meno. Tolto il minimo comune denominatore negli interventi degli oratori, e cioè che il Pd è un fallimento, è tutto sbagliato, è tutto da rifare, dall’adunata romana è uscito un puzzle un po’ scombinato di ambizioni di rifondazione della sinistra. Forse non poteva essere altrimenti dato che uno degli aspiranti rifondatori sul palco era appunto Conte, che si è scagliato contro «il vetero-capitalismo», «il turbo-capitalismo» e la «la logica consumerista» (forse intendeva dire consumista), il secondo Andrea Orlando, che con il M5S ha detto di volersi alleare di nuovo «per riformare il capitalismo» e il terzoBettini medesimo, che ha dedicato parte del libro e del suo discorso a deplorare la perdita della «scintilla» del 1917, parliamo di Rivoluzione d’Ottobre, cioè «l’ambizione di portare gli ultimi dentro il palazzo del potere»: «Non siamo stati capaci – ha detto Bettini in uno dei passaggi declamati con più sofferenza – di sottrarre le giuste istanze di liberazione dalle macerie del muro di Berlino». Sul punto Bettini e Orlando, autore della postfazione del volume, concordano: il Pd è un partito supino al capitalismo e un dibattito sul tema non può più essere differito. «Le differenze che ci sono nel partito – è il parere di Orlando – non possono più essere gestite con la reticenza», cioè rimuovendo il tema dal congresso. Sul momentopiù teso della sua oratoria, anche all’ex ministro del Lavoro tocca il suo contestatore in sala: «Non si riforma il capitalismo con Draghi!». Al che Orlando, intuendo che la voce proviene dalla claque contiana, rinfaccia proprio la caduta di Draghi: «Ma nemmeno con Meloni».
Ad applaudire in platea c’è Francesco Boccia, collaudato ufficiale di collegamento tra il Pd e i grillini, una raggiante Paola Taverna, segata come parlamentare dal limite dei due mandati ma senza perdere fede in Conte («Sono qui per il presidente», spiega), l’europarlamentare e fuoriuscito M5S Dino Giarrusso («Sono qui per Bettini», è la versione speculare). Non si è visto Massimo D’Alema, diviso da una annosa contrapposizione con Bettini, sanata negli ultimi anni solo dal comune afflato per «Giuseppe». Conte concede a Bettini tutto quel che può, l’elogio letterario («C’è in questo libro un labor limae oraziano, una prosa a tratti anche aforistica»), il ringraziamento per l’appassionata difesa del Conte due («Tanti dem hanno rinnegato quell’esperienza e insieme al Paese si sono calati nello stato ipnotico del governo Draghi»), persino una punta di autoironia («Non voglio rovinare la reputazione a Goffredo, per questo dico che ogni tanto non siamo d’accordo»). Eppure sul palco e anche tra il pubblico pare evidente il cortocircuito tra chi, come Bettini, dice di «credere al Pd», seppur da ricostruire, e chi, come Conte, resta seduto sul fiume ad aspettare che ne passi il cadavere. Il leader M5S lascia una porta aperta ai nostalgici dell’era giallorossa: «Se il percorso delineato in questo libro prevarrà anche nella dialettica interna del Pd, sarà facile ritrovarci». Sarà. Bettini esprime dolore per la scelta laziale di Conte e appoggio al candidato presidente indicato da Pd e Azione, l’assessore regionale alla Sanità Alessio D’Amato: «Caro Giuseppe, ho capito le tue ragioni quando sei uscito dal governo, anche se come sai non era d’accordo sulla rottura, stavolta no, non si sfascia un’alleanza che già c’è».
Anche Orlando, che pure si compiace che il Pd abbia capito come tra il populismo grillino e quello leghista «c’era differenza», prova a dare qualche timida botta a Conte: «C’è chi fa la sinistra non sempre essendola». Poi ricorda al capo grillino che per fare giustizia sociale non si può puntare solo sulla spesa pubblica, «serve la redistribuzione, perché ogni tanto per fare qualcuno contento serve scontentare qualcun altro». Insomma, una critica a una delle parole più usate nel vocabolario dell’ex presidente del Consiglio: gratis. Giusto il prezzo che Conte è disposto a pagare per portarsi a casa le spoglie del Pd.