La Stampa, 12 novembre 2022
Noi e l’Iran
C’è un grande giornalista italiano, si chiama Mariano Giustino, lavora per Radio radicale e scrive qua e là, dove lo ospitano. Da quasi due mesi, da quando Masha Amini è stata uccisa dalla Polizia morale iraniana per aver indossato scorrettamente il velo, ci racconta ogni giorno di Hesti Hossein, una sedicenne manganellata dalla polizia per aver strappato una foto di Khamenei e morta poche ore dopo in ospedale, di Mohammad Reza, ventiquattrenne che si è dato fuoco per protestare contro la dittatura, di Elmira Hosseini, ragazza dai capelli azzurri sequestrata dalla polizia e scomparsa nel nulla, di Khodanour, ragazzo preso a fucilate e poi legato a un palo e lì l’hanno lasciato morire, di Ali Roozbahani, ventenne ammazzato di botte, di Mohammad Qaemi, calciatore diciassettenne ucciso con un colpo in testa, di Nasrin Ghaderi, donna picchiata e morta per lesioni cerebrali, di ognuna delle centinaia di vittime di una delle rivolte più struggenti e coraggiose che si siano mai viste. Mariano ci racconta delle ragazze del liceo di Teheran che cantano Bella Ciao a capo scoperto, degli universitari che cantano la voglia di libertà nell’aula magna, delle duecento città in cui ragazze, ragazzi, donne, uomini sfidano la morte perché rivogliono la vita. Giovedì alcuni attivisti in esilio sono stati ospitati nel Parlamento di Berlino dove hanno raccontato che succede in Iran, e ieri ne scrivevano tutti i giornali tedeschi. Qui da noi, in Italia, non succede niente, non ne parla il premier, non il ministro degli Esteri, niente al Senato né alla Camera, perché potranno ammazzarli tutti quei ragazzi, ma noi siamo già più morti di loro.