la Repubblica, 12 novembre 2022
Le liti di Parigi e Roma
Si può aprire ricordando il solenne motto che suggella, dal 1956, il gemellaggio esclusivo tra Roma e Parigi: «Seule Paris est digne de Roma; seule Rome est digne de Paris – solo Parigi è degna di Roma, solo Roma è degna di Parigi».
Se badiamo alla storia, non c’è dubbio che sia così. Roma e Parigi sono le due capitali di maggior significato, concreto e simbolico, del continente. A Parigi sono stati firmati i diritti dell’uomo e del cittadino (1789), premessa alle libertà democratiche di cui molti nel mondo oggi godono. Molto tempo prima a Roma era stato fondato loius,vale a dire la funzione giuridica come forma tecnica isolata dalle altre attività di governo. Due enormi passi avanti nella storia della civiltà.
Rapporti però mai stati facili. A cominciare, volendo, dalla celeberrima battaglia di Alesia (52 a.C.) quando Giulio Cesare sconfisse definitivamente i Galli e il loro capo Vercingetorige venne trascinato a Roma per esservi strangolato. Storia lontana, anche se il fumetto Asterix la mantiene umoristicamente in vita. Nella storia moderna si deve citare invece la discesa in Italia di Carlo VIII di Francia nel 1494. Chiamato dagli stessi principi italiani, il sovrano discese a gran velocità la penisola fino a Napoli dove s’installò avendo messo in fuga gli aragonesi.
Interessante come Michel de Montaigne commentò nei suoi Essaisun’impresa che ha spezzato la storia italiana: «Quando il nostro re Carlo VIII senza tirar fuori la spada dal fodero si vide padrone del Regno di Napoli e di buona parte della Toscana, i signori del suo seguito attribuirono quella insperata facilità di conquista al fatto che i principi e i nobili d’Italia si preoccupavano di apparire dotti e d’ingegno più che vigorosi e guerrieri».
A partire da allora, la penisola sarebbe rimasta per secoli terra di conquista. Fino all’inizio dell’Ottocento l’Italia sparisce come soggetto internazionale, un territorio insignificante dal punto di vista politico, militare, economico («Una terra di morti»). Le classi dirigenti si dimostravano «dotte e d’ingegno» ma nulle per vigore, senno, capacità militare, lungimirante visione politica. Un destino riaffiorato più volte.
Storia molto diversa, hanno rapporti e scambi artistici e culturali, una fitta rete con grandi risultati nella letteratura e ancora più nella musica.
La storia politica resta però l’aspetto cruciale reso più complicato dalla presenza in Italia della Santa Sede. Luigi Napoleone (poi Napoleone III), avendo bisogno del voto cattolico per le elezioni spedì le sue truppe ad abbattere la repubblica romana nel 1849. Invano i triumviri Mazzini, Armellini, Saffi mandarono un accorato appello al comandante francese: «
Au nom de Dieu, au nom de la France et de l’Italie, Général, suspendez votre marche. Évitez une guerre entre frères. Que l’histoire ne dise pas: la république Française a fait, sans cause, sa première guerre contre la république Italienne!». «Évitez une guerre entre frères», parole al vento. Luigi Napoleone ha già in mente il colpo di Stato, i patrioti italiani possono aspettare, e morire.
Passano dieci anni, 1859, Cavour sa che il Regno di Sardegna da solo contro l’Austria non può farcela. È necessario convincere il neoimperatore Napoleone III ad inviare ancora una volta le truppe. Il conte usa ogni mezzo, compreso quello di infilargli nel letto sua cugina Virginia, contessa di Castiglione. I francesi arrivano, la seconda guerra d’indipendenza è vinta.
Nel 1915, dopo qualche tentennamento, l’Italia entra in Guerra a fianco di Francia e Gran Bretagna (poi arriveranno gli Stati Uniti). Alla fine del massacro l’Italia ritiene però, non a torto, che non siano state rispettate tutte le promesse d’ampliamento territoriale concordate. Vittorio Emanuele Orlando reagisce col pianto all’umiliazione. Si dice che il primo ministro francese Clemenceau, sofferente di prostata, abbia pronunciato le famose parole: «Ah, se potessi pisciare come lui piange».
Il trattato di Versailles risulta di miope ferocia, come fece notare il saggio economista inglese John Maynard Keynes. Fu tra le cause del nazismo in Germania e del fascismo da noi. Dopo pochi anni, infatti, 1924, cominciano le rivendicazioni di Mussolini sulla Corsica italiana, su Nizza e la Savoia. Quadro rivendicativo che si completa con l’entrata in guerra a fianco della Germania nazista e all’invasione della Francia meridionale, un Paese già a terra sotto l’occupazione nazista. L’intervento italiano venne giudicato un colpo di pugnale alle spalle. Una ferita, so di poter dire, mai del tutto rimarginata.
Anche l’attualità è fatta di ricorrenti dichiarazioni d’amicizia alternate a goffaggini e sgarbi.
Nel 2011 soprattutto per iniziativa francese il regime di Gheddafi viene colpito e abbattuto trascurando le conseguenze che questo avrebbe avuto sugli interessi italiani. Qualche anno dopo, un ancor sprovveduto Di Maio andò a Parigi (febbraio 2019) a progettare un’alleanza con l’ala estremista dei gilet gialli provocando addirittura il richiamo a Parigi dell’ambasciatore francese.
Il presidente Macron, per converso, concesse (un po’ di nascosto) la Legion d’onore al tiranno egiziano Al Sisi nel momento in cui è nel vivo la tragica vicenda dell’assassinio di Giulio Regeni.
Sull’attualità riferiscono le cronache di questi giorni. La presidente del Consiglio, Meloni, inesperta di suo e mal consigliata, ha creduto di poter alzare la voce dimenticando che l’equilibrio sociale italiano (debito, Pnrr, eccetera) può reggere solo in alleanza con la Francia; l’ostilità dei nord europei è cosa nota. I rapporti internazionali, soprattutto per un Paese debole, sono fatti di pazienti tessiture. Né V.E. Orlando dopo una guerra vinta, né Mussolini con le sue pretese imperiali potevano permettersi la voce grossa – figurarsi l’attuale governo schiacciato dai debiti e dalla mediocrità.