la Repubblica, 12 novembre 2022
Kissinger: «Il vero leader è un artista»
Ileader sono fatalmente condizionati da lacci e lacciuoli. Operano in situazioni che presentano inevitabili ostacoli, perché ogni società è costretta ad affrontare i limiti delle proprie potenzialità e capacità d’azione, dettati dalla demografia e dall’economia. Essi operano anche nel tempo, in quanto ogni epoca e ogni civiltà riflettono i valori, le usanze e gli atteggiamenti che dominano in quel momento e che, insieme, definiscono i risultati cui si aspira. Inoltre, i leader agiscono in competizione tra loro, perché sono costretti a misurarsi con altri attori – siano essi alleati, potenziali partner o avversari – che non sono statici, ma adattativi, con loro specifiche capacità e aspirazioni. Per giunta, gli avvenimenti spesso accadono troppo in fretta per consentire calcoli precisi, sicché i capi di governo devono formulare giudizi basandosi su intuizioni e ipotesi la cui validità non è dimostrabile all’epoca in cuiviene presa la decisione. La gestione del rischio ha, per lo statista, la stessa cruciale importanza della capacità di analisi razionale. La parola «strategia» descrive la conclusione cui giunge un leader in queste circostanze di limitazione delle capacità oggettive, demarcazioni temporali, competizione e fluidità delle situazioni. Nel compito di trovare la strada da seguire, la leadership strategica può forse somigliare al funambolo che cammina sulla corda: come l’acrobata rischia di cadere se è troppo timido o troppo audace, così il leader è costretto a procedere all’interno di uno stretto corridoio che lo vede sospeso tra le relative certezze del passato e le ambiguità del futuro. Il castigo per l’ambizione eccessiva, quella che i greci chiamavano hybris, è lo sfinimento, mentre il prezzo da pagare per avere riposato sugli allori sono la progressiva perdita di importanza e il declino finale. Passo passo, i leader devono adattare i mezzi ai fini e gli obiettivi allecircostanze, se vogliono arrivare alla meta. Il «leader come stratega» si trova ad affrontare un paradosso intrinseco: nelle circostanze in cui è necessaria l’azione, gli capita spesso di avere maggior margine di manovra per decidere quando ha a disposizione meno informazioni che mai, mentre quando dispone di più dati ha in genere un margine di manovra ristretto. Per esempio, nella fase iniziale di un riarmo strategico della potenza rivale, oppure quando scoppia all’improvviso una nuova epidemia virale che colpisce l’apparato respiratorio, la tentazione è di considerare il fenomeno emergente transitorio o gestibile secondo gli standard consolidati. Nel momento in cui la minaccia non si potrà più negare o minimizzare, il margine di manovra si sarà ridotto o il costo della soluzione del problema sarà diventato esorbitante. Se si fa un cattivo uso del tempo,i limiti si imporranno da soli, e sarà più difficile adottare anche la migliore delle restanti scelte, sicché si avranno meno possibilità di successo e maggiori rischi di fallimento. È in casi come questi che l’istinto e il giudizio del leader sono essenziali. Winston Churchill lo comprese bene quando, in L’addensarsi della tempesta (1949), scrisse: «Gli uomini di Stato non debbono soltanto sistemare quei problemi di minore importanza che spesso si sistemano spontaneamente; è quando la bilancia oscilla e le reali proporzioni degli avvenimenti son velate dalla nebbia, che si presenta l’opportunità di prender decisioni capaci di salvare il mondo». Nel maggio 1953, uno studente americano in visita in Inghilterra chiese a Churchill quale fosse il modo migliore per arrivare a essere buoni leader. «Studi la storia, studi la storia» gli raccomandò lo statista.«Nella storia sono racchiusi tutti i segreti dell’arte di governo». Lo stesso Churchill era un acuto studioso e autore di storia, e capiva quindi bene ilcontinuum nel quale si trovava a operare. Ma la conoscenza della storia, ancorché essenziale, non basta. Alcune questioni restano sempre «velate dalla nebbia», e risultano impervie perfino agli eruditi e agli esperti. La storia insegna per analogia, permettendoci di confrontare situazioni tra loro simili. Le sue «lezioni», però, sono solo approssimazioni che i leader hanno il non facile compito di riconoscere e la responsabilità di adattare alle circostanze della propria epoca. Oswald Spengler, filosofo della storia dei primi del Novecento, colse bene questo compito quando disse che il leader, l’uomo «chiamato all’azione», ha «l’impulso e l’istinto, la capacità di capire uomini e situazioni, la fede nella propria stella». Il leader stratega deve avere anche le qualità dell’artista, che intuisce come forgiare il futuro usando il materiale disponibile nel presente. Come osservò Charles de Gaulle nel 1932 in Il filo della spada (1957), una riflessione sull’arte di governo, l’artista «non trascura di usare la sua intelligenza», anzi, «ne trae lezioni, metodi, una scienza». Semmai, l’artista aggiunge a queste fondamenta «una facoltà istintiva, l’ispirazione, che, sola, gli dà il contatto diretto con la natura donde sprizzerà la scintilla». Poiché la realtà è complessa, la verità, in ambito storico, differisce dalla verità in ambito scientifico. Lo scienziato persegue risultati verificabili, mentre il leader stratega che conosce a fondo la storia si sforza di distillare dall’ambiguità intrinseca a una situazione intuizioni utili ai fini operativi. Gli esperimenti scientifici confermano o smentiscono i risultati precedenti, dando agli scienziati l’opportunità di correggere le loro variabili e ripetere gli esperimenti. Agli strateghi, invece, di solito è permesso un solo esperimento, e le loro decisioni sono perlopiù irrevocabili. Lo scienziato apprende la verità in modo sperimentale o matematico, mentre lo stratega ragiona almeno in parte per analogia con il passato, stabilendo innanzitutto quali avvenimenti siano confrontabili conquelli trascorsi e quali precedenti conclusioni appaiano valide anche nel presente. Nonostante questo, egli deve scegliere le analogie con cautela, giacché nessuno può, in nessun senso concreto, rivivere il passato: lo si può soltanto rievocare «al chiaro di luna della memoria», come ha detto efficacemente lo storico olandese Johan Huizinga. Nelle scelte politiche importanti non è quasi mai in gioco un’unica variabile: per giungere a decisioni sagge, occorre coniugare intuizioni politiche, economiche, geografiche, tecniche e psicologiche, coordinandole tutte con l’istinto della storia. Alla fine del XX secolo, Isaiah Berlin spiegò che era impossibile applicare i metodi scientifici fuori dall’ambito della scienza, e che quindi l’arte dello stratega era sempre difficile. Secondo Berlin, come il romanziere o l’artista, lo statistadeve avere la facoltà di assorbire la vita in tutta la sua straordinaria complessità: «E tuttavia ciò che rende gli uomini stupidi o perspicaci, intelligenti o ciechi, attributi distinti dall’essere competenti o dotti o preparati, è la percezione di questi aromi unici di ciascuna situazione quale essa è, nelle sue specifiche differenze – di ciò che la fa diversa da ogni altra situazione, ossia di quei suoi aspetti per i quali sfugge all’esame scientifico, per la semplice ragione che si tratta di elementi che nessuna generalizzazione, proprio perché è una generalizzazione, può afferrare». Traduzione di Laura Serra, Elena Sciarra, Nicoletta Poo © 2021, Henry A. Kissinger, Delphin LLC, Daniel Huttenlocher © 2022 Mondadori Libri S.p.A., Milano©RIPRODUZIONERISERVATA