La Stampa, 12 novembre 2022
Autobiografia del socialismo italiano
Pietro Nenni parlava ai giovani socialisti dei reduci della Comune di Parigi, che aveva conosciuto bene e dai quali aveva appreso le gesta dei rivoluzionari del 1789, che i comunardi, a loro volta, avevano conosciuto altrettanto bene. Ora Ugo Intini, uno di quei giovani socialisti, racconta in un libro quel che sa di Nenni e di altri protagonisti dell’ultimo secolo, che ha conosciuto bene. In quasi 700 pagine si snodano 48 ritratti molto personali. Non solo perché soggettivo è il punto di vista ma anche e soprattutto perché intriso di passione politica, vivida e partigiana senza trasmodare nel manicheismo.
Milanese, studi di giurisprudenza, giornalista, quattro volte deputato, viceministro, Intini diventò popolare suo malgrado ai tempi di Mani Pulite. Magistralmente caricaturizzato da Corrado Guzzanti nella sigla del programma satirico Avanzi, cantando «La tangente è una prova d’amore, dal letame può nascere un fiore…».
La sua seconda vita, uscito dalle macerie della Prima Repubblica, è stata più defilata: dirigente politico, non ha mai rinnegato il socialismo né si è lasciato abbindolare da sirene destrorse. A 81 anni continua a partecipare alla vita di partito (da ascoltare su Radio Radicale l’intervento all’ultimo semiclandestino congresso del Psi) e a scrivere.
Questo è Testimoni di un secolo: 48 protagonisti e centinaia di comprimari raccontano il secolo breve (Baldini+Castoldi). Da Andreotti a Pajetta, da Ciampi a Montanelli in Italia. Da Jaruzelski a Ceausescu, da Arafat a Kim Il-sung nel mondo. Ma si sarebbe insinceri negando al libro un più intimo piano di lettura. Dalle prime pagine su Nenni alle ultime su Craxi, traccia un’autobiografia collettiva del socialismo italiano, dagli Anni 60 e per i successivi trent’anni, «per far conoscere le radici di un gruppo dirigente raccolto intorno a Craxi e di un certo riformismo pragmatico tipico di Milano».
La curiosità ci porta dunque diritti alle ultime trenta pagine. Il ritratto di Bettino Craxi è rubricato apologeticamente «è riuscito dove Turati e Nenni non erano riusciti». La tesi di Intini è la continuità tra Nenni e Craxi.
Il primo ricordo risale al 1961. Milano, Palazzo Marino. Craxi, assessore supplente all’Economato, il più giovane della compagnia. Intini, ancor più giovane di sette anni, vicecronista comunale in prova dell’Avanti!. Una folla di manifestanti comunisti circonda il Comune durante la seduta di giunta per protestare contro l’emergenza abitativa. Minaccia di occupare il palazzo. I vigili urbani sbarrano i cancelli. Craxi esce dalla sala giunta e intima ai vigili: «Che fate, vi chiudete dentro? Aprite subito». Poi si dirige verso la piazza. Voltandosi verso il cronista interdetto, lo incalza: «Be’, non vieni? Hai paura?».
Ricorda Intini: «Io, vent’anni, magrissimo e lungo, lo seguii esitante. E da quel momento in poi l’ho seguito per alcuni decenni. Ci furono urla, spintoni, insulti, ma alla fine non successe niente. Craxi riuscì a dialogare e a promettere. Non a vuoto perché, come si sa, a partire dal 1963 le case arrivarono davvero».
Impossibile non montare il flashback con la sera primaverile del 1993 quando Craxi rifiutò l’uscita di servizio sfidando le monetine all’hotel Raphael. «Se mai, a distanza di tre decenni, era cambiata la folla: comunisti al Raphael come a Palazzo Marino, ma molto diversi nel 1993 rispetto al 1961 e non da soli, bensì con i missini e i futuri grillini».
Di Craxi, l’autore delinea in primo luogo un profilo psicologico: mix di coraggio e timidezza, di aggressività e riservatezza. Estroverso in pubblico, ermetico nei rapporti personali. Poi rievoca. Una lite furibonda ai tempi del sequestro D’Urso (Intini era direttore responsabile dell’Avanti!, Craxi segretario del Psi e direttore politico). Le concatenazioni internazionali del sostegno socialista, non senza contrasti interni, all’installazione dei missili Pershing e Cruise puntati su Mosca. L’intuizione «decisionista» delle riforme istituzionali. Le polemiche con la magistratura. Lo smantellamento del monopolio televisivo pubblico (per crearne un altro privato, ahi ahi). Fino alla battaglia sulla scala mobile, il grande successo di Craxi premier contro Berlinguer, a dispetto della débâcle profetizzata dal filosofo Lucio Colletti: «Chi può vincere un referendum chiedendo alla gente di lavorare di meno?».
Conflittuale ma anche umanamente complesso è il rapporto con il resto della sinistra. L’amicizia con lo stalinista Cossutta, nata a Sesto San Giovanni e non intaccata da Tangentopoli. Ma è il Craxi privato il meno scontato: gli alti e bassi con Berlusconi («un amico, ma un democristiano», diceva), la diffidenza nei confronti di Enrico Cuccia, la devozione per Nenni al punto di ripristinare il rito della corrispondenza con i militanti, mediata dalla vecchia segretaria Nedda.
La scontata indulgenza non toglie peso al ritratto. Il filo della memoria si dipana tra generazioni e si offre a qualcuno disposto a coglierlo senza che il presentismo cancelli tutto ciò che è stato e lasci la scena solo a ciò che crede di essere solo perché non è stato. —