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 2022  novembre 12 Sabato calendario

I brutti ricordi di Hollywood

«Come sopravvivere a un mestiere che non è adatto a un adulto?». Se lo chiedeva Humphrey Bogart e gli fa eco George Lucas: «Quando fai un film hai a che fare solo con psicotici e nevrastenici». Sono solo alcune delle voci di Hollywood: The Oral History (Jeanine Basinger, Sam Wasson – Harper ed.), raccolta di 400 interviste inedite, realizzate e raccolte nell’arco di un secolo dallo staff dell’American Film Institute, appena uscita in America (in Italia non ha ancora un editore). Una storia intima del cinema Usa raccontata dai protagonisti: registi, produttori, attori e maestranze. «Tutti volevano venire a Hollywood – rivela George Cukor – ma poi scoprivano che in quel mondo dorato ci si svegliava alle 6 e si lavorava fino alle 7 di sera». Il libro inizia con i pionieri, poi la svolta del sonoro e la nascita dell’industria. «Con il sonoro aumentò la domanda di film – racconta Frank Capra – le produzioni crearono il sistema degli Studio: ognuno con teatri di posa, personale creativo e sceneggiatori». Anche gli attori erano sotto rigido contratto. Olivia de Havilland dichiara: «Pensavano fossimo un branco di idioti, ci trattavano come merce».
I CAPRICCI
E se qualcuno faceva i capricci, ci pensava il regista. Billy Wilder: «Se un attore non collabora gli fai girare la scena come vuole lui, poi come la vuoi tu. E al montaggio mandi solo la seconda». «Lo sfruttamento era evidente sugli uomini, che diventavano tutti alcolisti – nota Gore Vidal – non è nella natura maschile essere così passivi». Che non lo fosse neppure in quella femminile ce lo ricorda Judy Garland, diventata tossicodipendente giovanissima. A difesa del sistema, Katharine Hepburn: «Louis B. Mayer (potente boss della Mgm) mi chiese di intervenire con Judy, ma la ragazza era malata. Non era stato solo il lavoro a ridurla così».
E Marilyn Monroe? Lo sceneggiatore Nunnally Johnson non ha dubbi, era ottusa: «Si era inventata quella voce fasulla da bambina, non ne poteva più nessuno di lei. Anche Arthur Miller scappò, lei pensava di risolvere ogni problema con il sesso. L’unica sua preoccupazione erano i vestiti attillati sul fondoschiena, di un beige in tinta con l’incarnato per farla sembrare quasi nuda sullo schermo. Le costumiste la detestavano, veniva al lavoro senza nemmeno lavarsi». Anche Laurence Olivier sbottò: «Marilyn, conta fino a tre a poi siediti – le disse sul set – sei capace, almeno, di contare?». Bette Davis parla del rapporto con l’odiato produttore, Jack Warner: «Mi riciclava in film di basso livello, per farmi rispettare non potevo che diventare stronza». Il regista Ron Howard ricorda un set con l’attrice, da giovane: «All’inizio le chiesi di chiamarmi Ron e lei mi guardò male: Prima devo decidere se mi piaci». Sulla generosità di Joan Crawford, invece, il giudizio unanime dei colleghi.
LE PREPOTENZE
Quando a fine carriera si trovò uno spaesato 21enne a dirigerla, lo difese dalle prepotenze delle maestranze. Il ragazzo era Steven Spielberg. L’unica stranezza dell’attrice, la casa con le pareti rivestite di pelle. «È come vivere dentro a un portafogli», commentavano gli ospiti. Negli Anni ’50 lo strapotere delle major andò in crisi, la New Hollywood era dietro l’angolo. Lo spartiacque fu Easy Rider nel ’69: un cast di esordienti, budget basso, ma ricavi stratosferici al botteghino. Per George Lucas: «A questa svolta storica hanno contribuito i grandi film europei, che iniziavano a essere distribuiti in America, compresi quelli italiani». Meryl Streep racconta la gavetta: «Volai fino a Londra per il provino per Julia, ma appena arrivata mi comunicarono che era stata presa la Redgrave. Mi chiesero se avrei accettato una piccola parte e, nonostante la delusione, dissi di sì. Nella scena recitavo con Jane Fonda. Diventammo amiche e mi aiutò a muovere i primi passi a Hollywood: così iniziò la mia carriera».
LO SCONTRO
Ma non sono state tutte rose e fiori per Meryl Streep, famoso il suo scontro con Dustin Hoffman sul set di Kramer contro Kramer. «In una scena – racconta l’attrice – lui scagliò un bicchiere contro il muro e mi ferì con i vetri rotti. Ero furiosa». Anche con De Niro non era facile, rivela l’attrice: «Dopo quattro ciak io mi esaurisco, lui invece potrebbe andare avanti ripetendo anche 30 volte la scena. E devo dire che è sempre sorprendente». George Clooney ricorda quanto gli attori siano vulnerabili: «La merce che vendiamo è la nostra faccia. Ho litigato con registi che avevano da ridire sulle mie scene d’amore. Io imprecavo: cosa c’è, sono l’uomo più sexy del mondo...». E ora, quale futuro per le star? «Con la competizione fra le piattaforme – notano le autrici del libro – Hollywood è sempre più alla ricerca di grandi assembramenti di celebrities». Ultimi i casi di Don’t look up di Netflix ed Eternals della Disney.