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 2022  novembre 12 Sabato calendario

Intervista a Carlo Nordio

Signor ministro, le scelte del governo sulla gestione dei flussi migratori hanno creato polemiche in Italia e incrinato i rapporti con la Francia. Era inevitabile in un contesto già così complicato aprire questo fronte?
«Era inevitabile perché il problema è stato quasi sempre affrontato in termini politici, ideologici o addirittura emotivi, mentre va posto in termini razionali. Nella sola Africa vivono almeno trecento milioni di persone in stato di estremo disagio. Quante possiamo accoglierne? Tutti? O cinquanta milioni? O cinque milioni? E chi li deve accogliere? L’Italia da sola, o l’Europa? O il resto del mondo? Ecco, sul punto mi attenderei una risposta da tutti i nostri interlocutori, dalla Ue all’ONU, perché il problema è globale».
Un certo numero di migranti dobbiamo comunque accoglierli. Per ragioni umanitarie ma non solo. La questione è: chi decide chi può entrare e chi no? In altre parole, usando un termine un po’ brutale, chi fa la selezione?
«Questo è proprio il secondo problema che, in ordine logico, va affrontato: quale sia il criterio di selezione di questi migranti. Se dovessimo seguire quello etico e umanitario dovremmo dare la precedenza ai più poveri tra i poveri, ai malati rispetto ai sani, e poi ai vecchi, ai bambini e più in generale ai soggetti deboli. Invece la selezione non viene fatta da noi, ma dalle organizzazioni criminali che raccolgono solo quelli in grado di pagare l’oneroso pedaggio dai due ai cinquemila euro che questi richiedono. Certo, tra di loro vi sono donne incinte e persino neonati. Ma questa è una brutale scelta strategica degli stessi scafisti, che li inseriscono come una sorta di ricatto morale, perché nessuno oserebbe respingerli, men che mai un Paese come il nostro di nobile tradizione cristiana, ed infatti li abbiamo accolti subito. Ma in questo modo alimentiamo le finanze di queste organizzazioni, dietro le quali esiste una strategia politica, e non certo un intento umanitario. Ne fanno fede le testimonianze di quei migranti che hanno raccontato i maltrattamenti e persino le torture cui sono stati sottoposti».
Una volta entrati in Italia, questi uomini e donne vanno anche accolti e va trovata loro una sistemazione. Ma dove e come? Le esperienze dei centri di accoglienza, ancorché necessari, hanno presentato spesso criticità
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«E questo è il terzo problema. Queste persone arrivano senza denari, senza lavoro, e senza prospettive. L’unica cosa che hanno sono i debiti contratti con gli scafisti, che non ne esigono il pagamento tramite avvocati, ma minacciando di tagliar loro la gola. Quindi per la gran parte di questi poveretti è quasi inevitabile ricorrere a finanziamenti illegali, come il piccolo spaccio di droga, i furti, e per molte donne la prostituzione. D’altro canto lo Stato non può certo garantire a tutti un lavoro dignitoso, anche perché non tutti sarebbero in grado di svolgerlo. E nemmeno può garantire alloggi salubri, perché non ci sono. E tantomeno un reddito, visto che parte degli stessi italiani non riesce nemmeno ad arrivare alla fine del mese con i rincari dell’energia. Anche queste sono domande per le quali ci attenderemmo, non solo dall’opposizione, ma dal resto della UE, delle risposte ragionevoli, senza polemiche sterili, ma anche senza vuote aspirazioni astratte e irrealizzabili».
Questione carceri. Anche se molti preferiscono ignorare questo dato, sappiamo che gli immigrati irregolari rappresentano una quota rilevante della popolazione carceraria nel nostro Paese e sono ben note le condizioni di inadeguatezza del nostro sistema penitenziario. Un aspetto che la chiama in causa direttamente come ministro della Giustizia. Come intende intervenire?
«Continuando così il problema, già oggi grave, diventa insolubile. Le nostre carceri sono già oltre il limite della sopportazione, e d’altra parte la sicurezza collettiva esige che i reati contro la persona, contro il patrimonio, e di spaccio di stupefacenti commessi da questi immigrati non restino impuniti. Una percentuale elevatissima della nostra popolazione carceraria, talvolta fino al cinquanta per cento, è costituita da extracomunitari responsabili di questo tipo di reati, commessi per le ragioni che ho detto prima. Questa non è discriminazione, è statistica, e anche qui mi piacerebbe una risposta razionale: cosa vogliamo farne? Vorrei che ciascuno prendesse una posizione chiara, mentre ci si rifugia spesso in fumose dichiarazioni di principio, che poi confliggono con la realtà che siamo costretti ad affrontare».
In Italia sul tema della gestione dei flussi migratori si sono spesso contrapposte due linee entrambe viziate da posizioni ideologiche: porte aperte o linea dura. Qual’è secondo lei la strada possibile da percorrere?
«In primo luogo va affermato il principio che la legge va applicata. La prima legge sul tema, firmata da un governo di sinistra, la cosiddetta Turco-Napolitano, stabiliva princìpi assai semplici e ragionevoli: in Italia, membri dell’UE a parte, si entra con il permesso; chi entra illegalmente viene espulso, e chi vi rimane dopo l’espulsione viene processato e punito. Questa legge non è mai stata applicata in concreto, perché le espulsioni non erano reali rimpatri ma semplici intimidazioni cartacee. Del resto un accompagnamento coattivo del clandestino nel paese di origine è procedimento lunghissimo e costosissimo, e spesso impraticabile. Ora il problema è più globale, va affrontato e risolto in ambito europeo, e direi persino nell’ambito dell’Onu, perché prima o poi riguarderà tutti gli altri paesi. Ma al momento attuale la linea del governo è sacrosanta: dobbiamo mandare a tutti il messaggio che l’Italia non è, o almeno non è più, l’unico principale stato di approdo dei migranti, che poi ne curi la permanenza. Su questo la linea dev’essere fermissima: con correttezza e garbo, le domande che ho prospettato prima vanno poste agli amici della Ue, dai quali ci attendiamo risposte razionali».
Va rivisto l’accordo di Dublino?
«Se l’accordo di Dublino fosse applicato davvero, i migranti raccolti dalle navi delle Ong straniere dovrebbero esser portati, magari dopo i primi soccorsi urgenti, negli stati di bandiera delle imbarcazioni, perché quello è lo Stato di primo accesso. Le navi, secondo il diritto internazionale e secondo l’articolo 4 del nostro codice penale, sono Stati che galleggiano, e rappresentano una estensione della nazionalità. Ed è singolare che questo principio sia stato fino ad ora ignorato, o addirittura contestato. Detto questo, l’accordo di Dublino è stato firmato quando questa problematica era molto diversa, e può benissimo essere rivisto. D’altro canto i princìpi del diritto internazionale, dai tempi di Ugo Grozio, sono due: Pacta sunt servanda, e rebus sic stantibus: se cambiano le condizioni, si cambiano gli accordi».
Le recenti scelte del governo hanno aperto una crisi diplomatica con la Francia, suscitando la dura reazione di Macron. Si può ricucire? E come?
«Non solo si può, ma si deve. La Francia è un grandissimo paese amico, e Napoleone era in realtà un italiano. Era già programmato nei prossimi giorni un mio incontro a Parigi con il mio omologo francese. Ha avuto la cortesia di invitarmi. Ho chiesto di recarmi al Mont Valerien per rendere omaggio ai martiri della Resistenza durante l’occupazione nazista, e sono certo che, anche senza entrare nel merito di questa problematica, ci intenderemo sui problemi più importanti. Del resto le liti, vere o costruite, avvengono più spesso proprio tra affini: amantium ira, amoris integratio est: l’ira degli amanti è l’integrazione dell’amore».