Avvenire, 11 novembre 2022
Intervista a Dmitrij Muratov
Il Cremlino non è riuscito a far tacere la voce più critica e indipendente del giornalismo russo. Non sono bastati anni di minacce, di intimidazioni e di aggressioni per zittire la Novaya Gazeta, il giornale diretto dal premio Nobel per la pace Dmitrij Muratov. Alcuni suoi cronisti – a cominciare dalla compianta Anna Politkovskaja – hanno pagato con la vita le loro inchieste scomode contro l’apparato di potere di Mosca. Poche settimane dopo l’inizio della guerra in Ucraina il giornale simbolo della lotta contro Putin è stato costretto a cessare le pubblicazioni ma è rinato con un altro nome a Riga, in Lettonia, dove centinaia di giornalisti russi si sono rifugiati per scampare alle persecuzioni e per continuare a combattere il regime con l’arma del giornalismo investigativo.
La Novaya Gazeta Europe, nata nell’aprile scorso, fa sentire forte la sua voce sul Web (novayagazeta. eu) e sui propri canali Telegram, Instagram e Twitter. Ha stampato alcune copie cartacee e sta lavorando a un piano di crescita per il futuro. La redazione è operativa nel centro di Riga, in un imponente palazzo di epoca sovietica in cui hanno sede anche un paio di ambasciate europee. Il direttore Kirill Martynov, 41 anni, ci ha accolto nelle sue stanze.
Com’è organizzato il vostro lavoro?
Rispetto alla Novaya Gazeta sia-mo una testata separata sul piano legale ma sia lo spirito che la linea editoriale sono gli stessi. A lavorare qui sono una sessantina di persone, contando anche i tecnici e gli amministrativi. Gran parte dei nostri giornalisti si trova in Lettonia, alcuni in Polonia, in Germania e in Kazakhstan. Altri quattro sono invece rimasti in Russia, dove lavorano sotto copertura, con un nome falso.
In Russia la mobilitazione parziale imposta da Putin ha fatto nascere una forma di ostilità contro il conflitto in atto?
No, direi piuttosto che nella gente c’è stanchezza e preoccupazione per la salute dei propri cari e per il proprio futuro. C’è chi finora ha voluto illudersi che in Ucraina non ci fosse alcuna guerra, o che il problema non li riguardasse ma adesso è cambiato tutto. Chi ha la possibilità di farlo manda i propri parenti all’estero per sfuggire alla leva. Gran parte della popolazione non voleva questa guerra, non l’ha mai voluta ma sa di non poter decidere niente, perché Putin tiene il Paese sotto stretto controllo.
Le sanzioni stanno avendo effetto?
Al momento l’economia russa è stabile, apparentemente, perché il valore delle sue esportazioni è sempre maggiore a quello delle importazioni. Il Paese ha una situazione finanziaria ancora positiva anche se il bilancio dello Stato non è in buone condizioni. Credo che l’impatto delle sanzioni vada visto da due diversi punti di vista: è sbagliat0 pensare che possano contribuire a ridurre il sostegno nei confronti di Putin e dunque a far cambiare idea alla gente. Ma dall’altro lato le sanzioni hanno probabilmente l’effetto di colpire le opportunità militari della Russia. Personalmente le ritengo necessarie, perché credo che avranno conseguenze nel lungo periodo. E poi penso che l’Occidente abbia anche l’obbligo morale di mantenerle.
Nella vita quotidiana dei russi cos’è cambiato?
L’effetto più visibile è che le persone hanno perso la possibilità di accedere ad alcuni beni di provenienza occidentale cui era abituata. Ovviamente paragonato a quanto sta accadendo agli ucraini è un problema risibile. Ma ha fatto comprendere a molti che qualcosa è cambiato, sebbene la gente continui a illudersi che sia un problema destinato a durare poco. Io invece sono assai pessimista e temo che per tornare alla situazione di prima ci vorrà molto tempo.
L’Europa e il resto del mondo stanno facendo abbastanza per cercare di far finire questa guerra?
Penso che nessuno fosse pronto per affrontarla e temo che il peggio debba ancora venire. Credo che a sconfiggere Putin sul piano militare l’Europa non sia ancora pronta. Adesso penso che mandare armi a Kiev non basti più, perché Putin forse non si sconfigge con i fucili. Le economie europee devono cambiare, cessando di essere dipendenti dal gas russo.