il Fatto Quotidiano, 11 novembre 2022
Recuperato un introvabile Kafka. Uno stralcio
Anticipiamo stralci di “Una relazione per un’Accademia” di Franz Kafka (1917), fresco di stampa con La vita felice e la curatela di Micaela Latini e Ginevra Quadrio Curzio.
Illustri signori dell’Accademia!
Mi avete onorato con l’invito a presentare all’Accademia una relazione sulla mia trascorsa vita da scimmia.
In questo senso purtroppo non sono in grado di soddisfare la vostra richiesta. Ormai quasi cinque anni mi separano dalla vita da scimmia, un tempo forse breve se misurato con il metro del calendario, ma infinitamente lungo da attraversare al galoppo, come ho fatto io, accompagnato a tratti da uomini eccellenti, da consigli, da applausi e musica d’orchestra, ma in fondo solo, perché tutti gli accompagnatori stavano, per restare in metafora, a distanza al di là della barriera. Questo risultato non sarebbe stato possibile se avessi voluto aggrapparmi ostinatamente alle mie origini, ai ricordi di gioventù. Proprio la rinuncia a ogni ostinazione è stato il comandamento principe che mi sono imposto; io, libera scimmia, mi sono piegato a questo giogo… Onestamente, per quanto mi piaccia scegliere immagini per queste cose, onestamente: la vostra natura di scimmie, signori miei, sempre che abbiate qualcosa di simile alle vostre spalle, non può esservi più distante di quanto non sia la mia per me. Il tallone però prude a chiunque calchi questa terra: al piccolo scimpanzé come al grande Achille…
Io vengo dalla Costa d’Oro. Sul modo in cui fui catturato sono costretto a basarmi su quanto hanno raccontato altri. Una battuta di caccia della ditta Hagenbeck – con chi la guidava del resto da allora ho già vuotato alcune bottiglie di buon vino rosso – era appostata tra i cespugli sulla riva del fiume una sera che andavo ad abbeverarmi assieme al branco. Spararono; fui l’unico a essere colpito; mi raggiunsero due colpi. Il primo alla guancia; era una ferita leggera; ma ha lasciato una grossa cicatrice senza pelo, che mi è valsa il ripugnante e del tutto inappropriato nomignolo, inventato davvero da una scimmia, di Pietro il Rosso, come se solo la macchia rossa sulla guancia mi distinguesse dalla scimmia ammaestrata Pietro, che qualcuno conoscerà e che ha tirato le cuoia poco tempo fa…
Può darsi che come scimmia io abbia conosciuto la libertà, e ho incontrato uomini che la desiderano ardentemente. Ma per quanto mi riguarda, non desideravo la libertà allora come non la desidero oggi. Per inciso: con la libertà tra uomini ci si inganna fin troppo spesso. E così come la libertà è tra i sentimenti più sublimi, così è tra le più sublimi l’illusione corrispondente… O beffa della venerabile natura! Alle risate del popolo delle scimmie di fronte a questa vista nessuna costruzione reggerebbe. No, non volevo libertà. Solo una via d’uscita; a destra, a sinistra, in qualsiasi direzione; non avevo altre pretese… Andare avanti, andare avanti! Pur di non rimanere fermi con le braccia alzate, schiacciati contro la parete di una cassa.
Oggi vedo chiaro: senza la somma calma interiore non avrei mai trovato scampo. E di fatto devo forse tutto quello che sono diventato alla calma che si impadronì di me su quella nave dopo i primi giorni. Ma la calma a sua volta la dovevo probabilmente alle persone della nave. Sono brave persone, nonostante tutto… Li osservavo già molto prima di pensare a queste cose… Era così facile imitare le persone. Di sputare fui capace già dai primi giorni. Così, ci sputavamo in faccia reciprocamente; la differenza era soltanto che dopo io mi leccavo la faccia per pulirmi, loro no. Presto fumai la pipa come un veterano; se poi in più premevo il pollice nel fornello della pipa, l’intero ponte sottocoperta risuonava di giubilo; solo la differenza tra la pipa vuota e piena faticai a lungo a capirla.
La fatica peggiore fu quella della bottiglia di acquavite. L’odore era per me un tormento; mi costringevo con tutte le mie forze; ma passarono settimane prima che riuscissi a vincermi… Quando ad Amburgo fui affidato al primo addestratore, mi resi immediatamente conto delle due possibilità che avevo: il giardino zoologico o il varietà. Non ebbi esitazioni. Mi dissi: metticela tutta per riuscire a entrare nel varietà; quella è la via di scampo; il giardino zoologico è solo una nuova gabbia, se finisci lì sei perduto. E imparai, signori miei. Ah, si impara, quando si deve; si impara, quando si cerca una via d’uscita; si impara senza scrupoli. Ci si controlla con la frusta; ci si scarnifica alla minima resistenza.
La natura di scimmia mi abbandonava rapidissima, rotolando via da me, lontano, tanto che il mio primo maestro divenne a sua volta quasi scimmiesco, dovette presto abbandonare le lezioni ed essere trasferito in una casa di cura.