il Fatto Quotidiano, 12 novembre 2022
Paul Auster è ossessionato dal destino
Newark, nel New Jersey, è davvero una città fatale per la narrativa americana. A tre lustri di distanza l’uno dall’altro, entrambi di origine ebraica, vi nascono Philip Roth e Paul Auster. Una rete di corrispondenze che sono il filo rosso non solo della biografia di Auster, ma di tutta la sua produzione letteraria: “Il caso fa parte della nostra realtà: siamo continuamente plasmati dalle forze della coincidenza”.
La vita dell’autore, classe 1947, compete con la sua stessa vocazione al punto da inverarsi alla stregua di un romanzo involontario. Il figlio Daniel, nato dalla prima moglie, è morto di overdose lo scorso aprile a breve distanza dalla figlioletta di dieci mesi. Sovviene La notte dell’oracolo del 2003 dove un uomo di nome Trause, anagramma di Auster, è alle prese con un figlio tossico. Ne L’invenzione della solitudine del 1982, memoir consacrato alla memoria familiare, non solo si scopre che il padre, proprietario immobiliare, è morto nel bel mezzo di un amplesso ma che la nonna paterna assassinò il nonno. Un altro trauma è la malattia psichiatrica della sorella, costretta a ripetuti ricoveri. Sposato in seconde nozze con Siri, scrittrice e psicanalista, gli resta una figlia, Sophie, di professione cantautrice. Il ménage con la moglie, nella loro casa disposta su quattro piani a Brooklyn, sarebbe idilliaco. Lui lavora al piano terra (scrive a mano con una stilografica e poi ribatte tutto su una Olympia del ’74 di cui ha fatto scorte di nastri), lei all’ultimo piano.
Auster, che oggi si gode le sue royalties al riparo da qualsiasi rovescio, è stato per lungo tempo un autentico squattrinato. Ha collezionato mestieri improbabili: mozzo su un convoglio mercantile e ghost writer per un’ereditiera americana in Messico. Ha composto soggetti per film muti (gli stessi che fanno capolino ne Il libro delle illusioni) e pubblicato gialli dozzinali sotto lo pseudonimo di Paul Benjamin. In Sbarcare il lunario scrive: “A cavallo dei trent’anni, vissi un periodo in cui tutto quello che toccavo si trasformava in fallimento. Il mio matrimonio si concluse con un divorzio, il mio lavoro di scrittore andò a picco, e mi ritrovai assillato dai problemi finanziari… una mancanza di denaro continua”.
A metà anni 80 consacra alla Grande mela il suo titolo più celebre: Trilogia di New York. Affiora una città enigmatica, fantastica, atemporale. In Città di vetro uno scrittore di gialli si finge un detective; in Fantasmi un pedinatore si ritrova nel ruolo del pedinato; in La stanza chiusa un amico di infanzia assume l’identità di uno scrittore scomparso. Una fecondità creativa che Paul Auster – versatilità atipica tra i grandi autori Usa – dirotta anche sul grande schermo. Sceneggiatore e co-regista di un film di culto come Smoke, dietro la macchina da presa firma Lulu on the Bridge e La vita interiore di Martin Frost.
Fatta eccezione per le favolette morali – vedi Mr. Vertigo e Timbuctù, che raccontano il candore degli ultimi attraverso un bambino prodigio e un cane parlante – l’ossessione ricorrente dell’opera di Auster è, come accennato, il caso, sublimato già nel titolo in La musica del caso: un vigile del fuoco in crisi che dopo un on the road vince milioni al poker ma la cui vita torna in bilico. La sua opera più ambiziosa, 4321, dimostra come le circostanze possano deviare una vita. Vedi quella di Archie Ferguson lungo quattro possibili sviluppi: che lo zio vinca o meno alle scommesse sportive, che il padre continui a lavorare con i fratelli, che la zia si sposi o che Archie inizi a giocare a baseball. Quattro trame che procedono simultaneamente.
Forse la quinta versione da aggiungere ai quattro cloni del romanzo è la parabola breve e geniale di Stephen Crane. In Ragazzo in fiamme, in libreria per Einaudi, Auster celebra lungo un migliaio di pagine un autore morto di tubercolosi nel 1900 a soli 28 anni, noto per un romanzo dedicato alla Guerra di Secessione, Il segno rosso del coraggio. A dire di Auster un talento che ha cambiato “le regole del gioco” della letteratura Usa e che non a caso, è proprio il caso di dirlo, con Auster condivide la città natale di Newark, l’amore per il baseball e la fame patita per anni a inseguire la chimera della scrittura.