https://www.elbareport.it/arte-cultura/item/46386-lanarchico-che-venne-dallelba-prima-parte-la-vita-di-nicola-quintavalle, 11 novembre 2022
Biografia di Nicola Quintavalle
Questa storia potrebbe cominciare a Paterson, New Jersey, anche se si svolge quasi tutta a Capoliveri. Siamo tra il 1895 e il 1896, e Pietro Gori compie un esaltante giro di conferenze e spettacoli negli Stati Uniti. All’inizio e alla fine del viaggio tocca anche Paterson. E anche qui terrà comizi e allestimenti teatrali. In mezzo al numeroso pubblico che contraddistingue ogni sua apparizione c’è molto probabilmente un suo coetaneo e conterraneo. È infatti nato il 25 febbraio 1865 a Capoliveri, e di mestiere fa il barbiere.
Si chiama Nicola Francesco Quintavalle. Nel registro dei battesimi della parrocchia capoliverese verrà registrato come Nicolaio Francesco. Ma tutti a Capoliveri lo conoscono, e gli anziani continuano a chiamarlo tutt’ora, Niccòlo.
Per la descrizione fisica ci affidiamo alle parole di Ezio Luperini (“Tra i lavoratori dell’Elba 1900-1918”, Genova, 1972, pag. 3): “Doveva aver passato la quarantina da un pezzo e i suoi capelli erano già tutti bianchi. La sua corporatura piuttosto tozza non gli impediva di essere agile nei movimenti. Nel suo viso simpatico spiccavano gli occhi nerissimi e vivaci. Teneva costantemente la pipa in bocca, ma nel fuoco della discussione dimenticava spesso di aspirarla, sicché era costretto ad accenderla continuamente, e lo faceva con gesti nervosi, quasi che la pipa si spegnesse per colpa dei suoi interlocutori”.
Frequentò solo le scuole elementari, ma ciò non gli impedì di farsi una buona cultura da autodidatta, dedicandosi a molte letture. Ma soprattutto abbracciò fin da giovanissimo l’idea anarchica, di corrente individualista. Non sappiamo cosa lo convinse a un certo punto a prendere la via dell’emigrazione, alla fine degli anni ’80: forse, come la maggioranza, per cercare fortuna altrove; forse influirono le grane giudiziarie e le persecuzioni che affliggevano costantemente i libertari. E una delle mete preferite di quei tempi per chi voleva lasciare l’Italia, spinto da entrambi i motivi, erano gli Stati Uniti. Infatti nell’immaginario comune, il Nuovo mondo rappresentava un multietnico giardino dove coltivare, non sempre facilmente ma con una relativa tolleranza da parte delle autorità, le più svariate ideologie politiche.
Secondo una versione l’arrivo negli States fu fortunoso: Nicola sarebbe stato imbarcato su una nave, che avrebbe fatto naufragio, a causa di una tempesta, davanti la costa statunitense. Ma di questa notizia onestamente non ho trovato altri riscontri. Qualunque fosse la molla che lo spinse verso gli Usa, rimane un fatto non casuale: si stabilirà a Paterson, la città simbolo degli emigrati anarchici italiani.
A West Hoboken, a circa 20 miglia da Paterson, Nicola aprì una barberia, che divenne ben presto uno dei raduni preferiti degli anarchici del New Jersey, anche per il fatto che il proprietario era conterraneo di una celebrità come Gori. La sua bottega era molto frequentata anche perché pare che radesse i clienti con due rasoi contemporaneamente. Qui avvenne il suo incontro, nel 1898, col setaiolo pratese Gaetano Bresci, con cui strinse amicizia.
Il 17 maggio 1900 una sessantina di italiani si imbarcarono a New York sul piroscafo francese Gascogne per un viaggio in patria. Sfruttarono l’offerta che garantiva tariffa dimezzata a tutti quelli che intendevano andare a visitare l’evento dell’anno: l’esposizione universale di Parigi. Tra essi vi erano Bresci, il nostro Quintavalle e il panettiere trentino Antonio Laner. Non è ben chiaro se i tre anarchici avessero deciso il viaggio insieme o si trovassero per caso sulla nave. Di sicuro Nicola colse l’occasione per tornare al paese natio e rivedere i suoi cari, la mamma e i fratelli, che aveva lasciato ben dieci anni prima.
Sul piroscafo i tre uomini fecero amicizia con una ragazza italiana, Emma Maria Quazza, anch’ella anarchica. Sembra che Nicola, durante la traversata, avesse preso una cotta per una cantante di nome Margherita. Quintavalle è così tratteggiato da Paolo Pasi, nel libro “Ho ucciso un principio” (Milano, 2014, pag. 17-18): “è dalla partenza che va facendo discorsi infiammati sull’anarchia. Lo si potrebbe definire uno spaccone, oppure un ribelle. Di certo quel suo mettersi in mostra con proclami rivoluzionari gli costerà caro”.
Una volta sbarcati a Le Havre, Emma si unì al gruppo, in viaggio verso Parigi, all’esposizione universale. Nella capitale francese gli amici si tratterranno una settimana. Il 5 giugno la brigata arrivò a Modane dove si divise: Quazza e Laner proseguirono per Torino, Bresci e Quintavalle per Genova. Due giorni dopo anche le strade di questi ultimi si divisero: Bresci prese la via della natia Coiano, Quintavalle quella di Capoliveri.
Nel mese seguente i rapporti tra i quattro amici proseguirono per via epistolare: nello scambio tra Gaetano e Nicola, entrambi fecero progetti per il ritorno a Paterson. Ma il progetto vero che frullava nella testa dell’anarchico pratese avrebbe scombinato tutte le loro vite: uccidere il re d’Italia Umberto I.
L’episodio che segnerà l’esistenza di Nicola è interessante e complesso. Per questo merita una trattazione a parte, che daremo nel successivo articolo. In questo ci concentriamo sulla vita di Quintavalle.
Lasciatosi alle spalle le devastante vicenda giudiziaria di complicità nel regicidio, da cui ne uscì assolto, Nicola cercò di costruirsi un nuovo avvenire. Doveva scordarsi il ritorno negli Stati Uniti, in quanto le autorità giudiziarie gli avevano precluso l’espatrio. Dopo i primi momenti di sconforto, con l’aiuto degli amici di Capoliveri decise di continuare il suo mestiere di barbiere nel paese natale. Aprì un salone all’angolo tra via Roma e via Cavour, proprio quel cantone che si affacciava, per ironia del destino, sulla piazza da poco intitolata a Umberto I, l’attuale piazza Matteotti. Il salone è visibile in una cartolina del periodo.
Arrigo Petacco (“L’anarchico che venne dall’America”, Milano, 2000, pag. 79) dice che smise di occuparsi di politica. Potrebbe non essere del tutto corretto, poiché i vecchi capoliveresi ricordano che la sua bottega era il crocevia degli anarchici paesani. Non rinnegò mai il suo ideale e a Capoliveri fu visto sempre come una figura carismatica e autorevole nel movimento libertario, forse anche in virtù dei suoi trascorsi.
Mi hanno raccontato un simpatico aneddoto a questo proposito. Pare che gli anarchici locali amassero intavolare infuocate discussioni tanto nella barberia quanto nel retrobottega. Avveniva però che ogni tanto varcasse la porta un cliente abituale, il parroco del paese don Michele Albertolli. Allora Nicola dava un potente colpo di tosse per zittire e richiamare all’ordine i compagni nel retrobottega: quasi un allarme per denunciare la presenza del “nemico”!
Negli ultimi anni della sua vita sposò Ottavia Chiesa, detta Ottavina, e smise i panni del barbiere. Petacco, nel libro citato (pag. 79), asserisce che “si mise a vendere i lupini per le strade”. La notizia è falsa, tanto che provocò la stizza degli eredi, che, mi assicuravano, scrissero allo storico per chiedergli una rettifica. Infatti Nicola trascorse gli ultimi anni aiutando la moglie nel suo negozio di merceria, tessuti e cappelli. Anche su Ottavina gli anziani mi hanno raccontato una tratto caratteriale curioso: “Era una bottegaia nata. Tutto quello che le capitava pe’ le mani, riusciva a vendelo”.
Il suo essere anarchico però senza troppi clamori non dovette causargli molti disagi sotto il fascismo, anche se la sua schedatura nel registro dei sovversivi durerà fino al marzo 1942, quando sarà depennata perché ormai considerato troppo vecchio per costituire una minaccia. Soprattutto mantenne un ottimo rapporto con i suoi compaesani, tanto che molti che lo conobbero e sono ancora in vita, lo ricordano come una persona degna e altruista. Gli stessi eredi mi hanno raccontato diversi quadretti di vita famigliare sull’adorato “zio Niccòlo”, che ne dimostrano tutta la sua umanità.
Continuò a non fare mai mistero della sua stima e amicizia con l’ormai defunto Gaetano Bresci, e con perseveranza si ostinò a negare ogni coinvolgimento nel regicidio. E lo farà anche quando l’Italia scelse di chiudere i conti con i Savoia e iniziare la stagione repubblicana. Peraltro tutti i capoliveresi che lo hanno conosciuto e i suoi famigliari mi hanno assicurato che con loro non faceva mai parola di quei giorni, segno che rappresentavano per lui un periodo molto doloroso.
Ad appena un anno da quello storico referendum, il 3 giugno 1947, Nicola Quintavalle morì di polmonite a Capoliveri. Il funerale sarà molto partecipato: ci saranno i rappresentanti del circolo anarchico Angiolillo, dell’Unione donne italiane, e delle sezioni dei partiti d’Azione, comunista, socialista e repubblicano di Capoliveri, Rio Marina, Portoferraio e Porto Azzurro.
Andrea Galassi