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 2022  novembre 11 Venerdì calendario

Il saluto commosso di Ivan Gazidis al Milan

«Un inglese piombato tra di voi come un oggetto sconosciuto» si definisce Ivan Gazidis mentre saluta i tifosi del Milan con un video, il cellulare che lo inquadra mentre passeggia al parco Sempione, la versione meneghina dello Sting che canta «I’m an Englishman in New York, I’m an alien».
Sì, un po’ un alieno è stato l’amministratore delegato del Milan, scelto da un fondo di investimento diventato proprietario dopo il terremoto e i misteri del cinese Yonghong Li. Paul e Gordon Singer, i fondatori di Elliott, amano farsi vedere poco e parlare ancora meno. Gazidis – figlio di due sudafricani attivisti contro l’apartheid finiti in carcere, cresciuto in Inghilterra con laurea in Giurisprudenza a Oxford, «arrivato al calcio dall’alto» come ama ripetere il presidente Paolo Scaroni con cui i rapporti sono sempre stati ottimi, il lancio della Lega di calcio americana e gli anni all’Arsenal nel curriculum – è stata la loro scelta e il loro volto per i tifosi. Guardato con sospetto, all’inizio. «L’uomo dei conti», l’etichetta migliore, quello che non capisce la grandeur, il passato, il dna del Milan, perché «dove vuoi andare con i giovani?» nel peggiore dei casi. Accoglienza: freddina.
Il massimo dell’impopolarità quando il Milan accetta di saltare un anno di Coppe per le violazioni del fairplay finanziario. Qualcuno si aspettava un muro contro muro con l’Uefa, ma Gazidis è uomo di mediazione, non certo di pugni sul tavolo. Ha sempre tentato di ricucire (c’è chi dice: persino troppo), anche all’interno del Milan dove i rapporti non sono mai stati idilliaci con Paolo Maldini, per tacer di Zvonimir Boban che è stato licenziato dopo un’intervista alla Gazzetta in cui criticava tutto e tutti.
Com’è finita con i tifosi, lo si vede dalle reazioni al video di saluti. Una dichiarazione d’amore ricambiata, cui molto ha contribuito una vicenda privatissima. Nell’estate del 2021, durante un controllo di routine, a Gazidis trovano un carcinoma alla gola, una forma di tumore curabile che lo ha portato a New York per sottoporsi a terapie specializzate. È in quell’occasione che ha scoperto di essere anche amato. «Non dimenticherò mai il modo in cui mi avete sostenuto durante la malattia. Devo così tanto a tutti voi, al club e a questa città che mi ha letteralmente salvato la vita», dice ora che ha deciso di prendersi un periodo di riposo con moglie e figlio.
Il tumore
Devo tanto a tutti voi, al club e a questa città che mi ha letteralmente salvato la vita
E chissà che un altro video non abbia aiutato a raccogliere simpatie: un gran gol d’esterno segnato a Milanello su assist di Ibra fece scoprire al mondo che Gazidis al calcio aveva anche giocato («Quando sei ad del Milan ti fanno i complimenti, da giovane si lamentavano di più», rideva lui), doti atletiche e di corsa, ruolo prima difensore, poi via via spostato davanti, categoria raggiunta seconda divisione.
Il resto lo ha fatto la vittoria dello scudetto perché i tifosi sono spietati a modo loro: amano (quasi) solo chi li fa vincere. Gazidis ha fatto di più, ha vinto con una visione. Perché mediazione sì, ma non sui principi. Ha stravolto il club, introdotto competenze nuove; ha contenuto i costi, mostrato che si possono dire dei no alle pretese dei calciatori, lasciando partire Gigio Donnarumma (e poi Franck Kessie) a parametro zero. Ha detto dall’inizio che sarebbe stato un percorso difficile, e un 5-0 incassato dall’Atalanta sembrava il punto più basso, con Gazidis che – tra lo scandalo di molti – portava l’Atalanta a modello del Milan.
«Chi cerca di proteggere il club è visto come il diavolo – raccontò in un’intervista a Sette —, ma non è così. Chi dice dei no viene demonizzato e questo crea una grande pressione a continuare a spendere. Ma non si può spendere per sempre. Chi dice no è solo abbastanza coraggioso da mettere la squadra davanti a sé. Perché il sistema ha cominciato a rompersi».
Ha puntato sui giovani (in Premier ha contribuito a rinnovare il percorso di sviluppo dei calciatori inglesi, ai club venivano dati incentivi per sviluppare le Academy ma dovevi soddisfare standard molto alti, e molti di quei giovani oggi sono in Nazionale), ama l’uso dei big data cum grano salis, ha un’idea sul calcio globale che deve cercare i giovani «ma il calcio è un posto conservatore: la maggior parte dei dirigenti sono vecchi uomini bianchi troppo retrogradi per gestire il cambiamento», parole sue. Vedremo se proverà a cambiarlo lui in un’altra veste, sempre da alieno, però amato.