La Stampa, 11 novembre 2022
Mazzette in Vaticano. Il caso di Libero Milone
Manomissioni, depistaggi, insabbiamenti, microspie e minacce per bloccare le indagini avviate sui conti del Vaticano per ordine di papa Francesco e che portarono a evidenziare distrazioni di denaro, pacchi di banconote in contanti infilate in borse della spesa di cardinali, pagamenti indebiti, dubbie compravendite immobiliari. L’ex revisore generale dei sacri palazzi Libero Milone – nato all’Aja nel 1938, uomo finora defilato, cresciuto a numeri e relazioni dopo aver fondato Deloitte Italia e aver lavorato in quel gruppo per 32 anni – dopo meline tra diplomazia e mezzi silenzi svela un’inquietante trama che avrebbe portato alla sua estromissione nel giugno del 2017. «Mi dissero o se ne va o l’arrestiamo». All’epoca si disse che era indagato per peculato, spionaggio, ma l’indagine forse mai nemmeno esistita non partorì nulla. Oggi, invece, saputo che l’inchiesta è stata riaperta, decide di andare in contropiede. Chiede, insieme al suo vice dell’epoca Ferruccio Panicco, 9.278.000 euro di danni in sede civile, una «domanda giudiziale» diretta contro la segreteria di Stato, nella persona del cardinale Pietro Parolin, e dello stesso ufficio del Revisore. Panicco – in più – addita al Vaticano il peggioramento della sua malattia, un cancro alla prostata, perché il fascicolo medico gli venne sequestrato con l’estromissione, e mai riconsegnato, ritardando le cure: «Statisticamente non ho speranze di guarigione – dice in videoconferenza -. Penso che loro siano colpevoli, non dolosamente, di avermi condannato a morte senza motivo dopo una lenta e significativa sofferenza. Mi hanno tolto dai 10 ai 15 anni di vita».
Tra gli stucchi dello studio del loro avvocato, il professor Romano Vaccarella, per tre ore Milone spiega cosa avrebbe scoperto da quando nel giugno 2015 Bergoglio lo incontrò nella saletta d’attesa a piano terra della residenza di Santa Marta. «Non si faccia mai impressionare – mi disse il santo padre – ma di fronte a quanto emergeva... Davamo troppo fastidio a quel groviglio di interessi e di assetti di potere sui quali avevamo messo le mani. Ci hanno trattato nel peggiore dei modi, persino sputato in faccia». In una chiavetta usb consegna 15 documenti. Tra questi, «Traccia per i giornalisti» accende un faro su due aspetti: da una parte i depistaggi con tanto di manomissione del suo pc, introduzione dello spyware Mirror in quello della segretaria, e la scoperta di una microspia infilata nella parete alle spalle della scrivania, dall’altra quanto via via emergeva tra anomalie, irregolarità e presunti fondi neri. Convitato di pietra è certamente il cardinale Angelo Becciu, al quale Milone attribuisce molte responsabilità, il quale ha già annunciato tramite legali che querelerà il manager per le «ricostruzioni completamente infondate» visto che, a suo dire, «Milone non godeva più della fiducia del Papa».
Il caso più eclatante potremo chiamarlo «Londra 1», si tratta dell’acquisto di un palazzo nella capitale inglese messo a bilancio dell’Apsa – la cassa centrale vaticana – per 96 milioni, proposto dalla Cb Richard Ellis dopo che era stato attivato mister Barroweliff, consulente dell’immobiliare Grolux controllata da Oltretevere. L’affare per Milone è opaco, il palazzo sovrastimato, l’acquisto – tramite trust del Jersey – senza il parere necessario della segreteria per l’Economia. Storia che ricorda molto lo scandalo per un’altra compravendita sempre a Londra e che poi ha portato a un processo contro Becciu ancora in corso. Nel settore immobiliare Milone evidenzia «una distrazione di fondi di 800 mila euro – accusa sempre l’ex revisore – su una proprietà agricola alle porte di Roma, in via Laurentina 1351, dove avevano casa il cardinale Domenico Calcagno e il cardinale Nicora», «tra prestiti dell’Apsa presieduta da Calcagno non restituiti» e mancati pagamenti. Indice puntato per un presunto occultamento di fondi di somme ricevute da donatori a livello mondiale alla parte Congregazione per la Dottrina della Fede: 250 mila euro versati su un conto Ior, dell’allora prefetto, e altrettanti trovati in mazzette di banconote in una busta di plastica nell’ufficio del prefetto: «Ogni tanto quella busta se la portava a casa», ripete Milone.
La lista è ancora lunga e Milone ripete sempre senza mezzi termini che quanto emerso all’epoca lo condivise con il Santo Padre o con il segretario di Stato. Presunte distrazioni di fondi nel Pontificio Consiglio per la Famiglia, conflitti d’interesse in Apsa e alla Prefettura degli Affari economici sino ai 2,5 milioni arrivati all’ospedale Bambino Gesù dalla fondazione panamense Bajola Parisani per costruire un padiglione: «Abbiamo trovato solo una targa appesa su un muro», dice Milone, ma dal nosocomio fanno sapere che quei soldi sono stati impegnati in lavori edili in diversi corpi della struttura. Sempre lì emerge poi la storia di un bonifico da 500 mila euro destinato in parte a una società di marketing di un dipendente che avrebbe svelato come una tranche da 240 mila euro «andava a partiti politici», prima delle elezioni del 2013. Secondo l’ex revisore l’allora capo della gendarmeria, Domenico Giani, avrebbe fatto utilizzare nel giugno del 2016 fondi del suo ufficio per pagare la quota da 176 mila euro di ristrutturazione della casa dove viveva di proprietà del Vaticano, ma persone a lui vicine dicono che l’ex militare è tranquillo, convinto della regolarità della scelta. Senza dimenticare i prezzi irrisori di una locazione nel contratto a un noto giornalista che avrebbe garantito di pagare la differenza con il valore di mercato tramite beneficenza «ma ho controllato – chiosa – e non lo ha fatto». Ma questo nome e molti altri non vengono fatti.