Il Messaggero, 10 novembre 2022
Sei parole per il progresso
Attesa, semplicità, ecologia, isolamento, anticipazione, offlife. Sono le «sei parole per il contemporaneo» proposte da Leonardo Caffo nel suo Velocità di fuga (Einaudi, pagg. 104, euro 12): un saggio che si muove nel mondo della filosofia, per «tentare di raccontare che cosa sta succedendo adesso» spiega l’autore, docente di Estetica della moda, dei media e del design alla Naba di Milano. E che, per il titolo, si rivolge all’astronomia nel definire la nostra epoca, laddove la velocità di fuga è «la velocità minima che un oggetto deve acquisire per riuscire a sottrarsi all’attrazione gravitazionale di un pianeta»; ma, passando da Newton alla nostra quotidianità, essa diventa la categoria che «da sola descrive l’antropocene e il capitalocene, i millennial e le generazioni successive, la morte dei vecchi sistemi di comunicazione e la nascita e ascesa continua di quelli attuali, il dramma ambientale o le varie pandemie oltre che i problemi morali del nostro tempo».
Leonardo Caffo, quindi il progresso non è poi tanto un progresso?
«Non è che sia un male: ci ha dato tanto, ci ha fatto arrivare dove siamo, ed evviva. Ma, superata una certa soglia di sviluppo, il progresso è anche la condizione di possibilità perché tutto si distrugga: ci darà il suo contrario, la fine del mondo, del nostro mondo».
Quindi?
«Quindi la mia proposta è cercare di ipotizzare una teoria della stabilità. L’idea è che una teoria della contemporaneità possa essere una teoria del fermarsi e cercare di avanzare con la morale, e non più con la tecnologia».
Perché parla di «età della velocità di fuga»?
«Perché, come nel concetto astronomico, la nostra contemporaneità è un fuggire, per non essere assorbiti da certe cose: la pandemia, la guerra, la crisi climatica, quella del cibo. È una metafora, perché una teoria della contemporaneità non fotografa la realtà, bensì dà un’idea di come dovrebbe essere. E questo vale per ogni tempo».
Ce lo ha insegnato Kant.
«È importante avere una narrazione: verso dove dovremmo andare, in che modo, con quale stile e come dovremmo comportarci? Le sei parole che propongo descrivono le cose quasi al contrario di come vanno».
Perché?
«Per esplorare una possibilità, quella di ridescrivere la realtà in modo diverso da come è stata descritta. Abbiamo chiaro che, quello che stiamo facendo, non funziona. Infatti ne parliamo sempre...»
Che cosa non funziona?
«Sappiamo che il sistema in generale, la politica, la tecnologia, lo stato di cose ci abituano a bisogni che non avevamo, ma è quasi impossibile decostruire dall’interno il nostro stile di vita: perciò va fatto qualcosa di più profondo, cioè provare a pensare all’essere umano in modo molto diverso, non in preda alla velocità, e all’idea che sei tanto più in gamba quante più cose fai, consumi e conosci».
In un mondo così di fretta, la prima parola è «attesa».
«È la condizione di possibilità delle grandi conquiste dell’umanità, da Colombo a Galileo a Einstein. Oggi devo sapere prima il risultato di ciò che sto facendo, come con le notifiche sul cellulare; ma, per duecentomila anni, l’umanità ha scoperto perché si è perduta. Altrimenti è solo una verifica, non una scoperta...».
L’attesa che cos’è?
«È la capacità dell’essere umano di agire nel mondo, senza sapere come, quando e perché il mondo gli darà una risposta: è il processo, che è parte integrante di ogni rivoluzione. Invece le tecnologie che abbiamo introdotto ci dicono esattamente quello che succederà. E così non abbiamo rivoluzionato l’umanità, l’abbiamo distrutta».
La semplicità invece?
«È la capacità di arrivare alla meta con il minor numero di passaggi, proprio come nella leggerezza e nell’eleganza delle formule matematiche: andrebbe fatto lo stesso nella nostra vita con le cose, i viaggi, le relazioni, l’amore, la tecnologia... Semplicità ci porta alla parola successiva, ecologia».
Di quale ecologia parla?
«Ecologia è un termine scientifico, diverso da quello degli ambientalisti, che descrive la nostra relazione col mondo in modo orizzontale e non verticale».
Perché dice che l’ecologia è arte?
«Lo è per definizione. Questi atti non hanno impatto poiché, se non superi la soglia del 50 per cento più uno, nel mondo non cambia nulla, è inutile non usare l’auto o la plastica... Ma la filosofia ha a che fare con la performance: perché Angela Davis si faceva arrestare in America? La legge, per gli afroamericani, faceva comunque schifo; ma lei mostrava una possibilità, uno squarcio di azione».
E la plastica?
«Oggi è così con l’ecologia, come rivoluzione complessiva, che non è mangiare l’insalata o non usare la plastica, bensì è una performance. Cristo questo ha fatto: mostrare che un uomo solo può salvare l’abisso. Ma inutile è buono e bello, e bontà e bellezza muovono l’ecologia».
Nota che internet, il regno degli appelli ecologisti, è il «sesto consumatore di energia a livello mondiale».
«I dati dicono che, tutta insieme, internet è la cosa più inquinante dopo gli allevamenti di carne e i grandi trasporti. L’idea di salvare il mondo attraverso lo strumento che lo massacra è paradossale. A essere coerenti, internet dovrebbe essere spenta».
Dobbiamo andare offline?
«Anzi, offlife, la parola finale. Una rieducazione a una vita umana in un mondo post digitale, a una serie di qualità che il digitale ci ha tolto. Il digitale è una grande rivoluzione, da cui non possiamo tornare indietro; il problema è che, quello che internet ci sta dando ora, non potrà più darcelo: lo dovremo centellinare, come il gas. Ma, ormai, siamo più capaci di sopravvivere al freddo, che senza Instagram».
E l’isolamento? Ormai lo conosciamo tutti?
«Avremmo dovuto conoscerlo prima. È la condizione attraverso cui comprendere qualcosa di sé, del mondo, dei bisogni reali, delle relazioni. Invece è stato vissuto come qualcosa di negativo, perché non abbiamo investito sull’individualità dell’essere umano. L’educazione deve ridiventare qualcosa che punti all’autonomia, ma le nostre società non vogliono... E non è complottismo, è che l’essere umano autonomo può mandarti a quel paese. La rivoluzione nasce quando c’è il silenzio».
Anche in filosofia, grazie all’anticipazione?
«Quando diventa accademia, titolo, qualsiasi genere di filosofia come rottura del canone si perde. La filosofia non è una disciplina argomentativa: è un modo attraverso cui l’umanità ha spezzato le catene morali, intellettive e normative. L’anticipazione è quello che la filosofia ha sempre fatto, soprattutto in campo morale, che è dove è cominciata, con la domanda: perché c’è qualcosa e non il nulla?»
Non è un po’ primitivista?
«No. A essere primitivista è il pensiero progressista, perché è quello per colpa del quale si fermerà tutto. Il mio è tecnologico: fermiamoci ora, sette anni prima di finire nel pantano, e avremo per sempre tecnologia, cibo, educazione, medicina. Il primitivista è quello che se ne frega, come Elon Musk che, per andare su Marte, distruggerà la Terra. Io sono un progressista convinto».