il Fatto Quotidiano, 10 novembre 2022
Serie A, la maxi-cartella esattoriale da almeno mezzo miliardo può essere pagata a rate
Siamo il calcio, niente tasse. L’ennesimo regalo alla Serie A è già impacchettato: dopo Draghi, anche il governo Meloni permetterà alle squadre di posticipare i pagamenti saltati in epoca Covid. Una maxi-cartella esattoriale da almeno mezzo miliardo di euro che i presidenti del pallone avrebbero dovuto saldare a metà dicembre, e invece verseranno solo in parte, o addirittura non verseranno proprio: l’accordo raggiunto prevede solo un acconto del 15% del totale e il resto spalmato in comode rate nei prossimi 3-5 anni, ma in extremis qualcuno vorrebbe provare a eliminare anche quel piccolo pagamento iniziale. Comunque vada (mancano le ultime limature), un trionfo per la Serie A che piange miseria.
È praticamente da un anno che i “ricchi scemi” (ma mica tanto) del pallone non pagano le tasse, a differenza dei comuni mortali. Il primo aiuto di Stato risale a fine 2021, proprio quando la FederCalcio sembrava intenzionata a mettere fine allo stop dei controlli interni durante il Covid che di fatto aveva falsato il campionato (le squadre non pagavano gli stipendi ai calciatori che avevano e poi magari ne compravano). Invece nell’ultima manovra era arrivato il colpo di spugna governativo: un comma che sanciva la sospensione di Irpef e contributi per i primi quattro mesi del 2022, poi estesa in primavera fino alla fine dell’anno. Undici mesi senza obblighi fiscali, con la scusa del Coronavirus che ha solo dato la spallata finale ma non è la vera causa della crisi di un sistema che non sta in piedi già da tempo. Una marchetta a otto se non addirittura nove zeri, se consideriamo che nel 2019 la Serie A ha pagato quasi un miliardo tra ritenute Irpef (700 milioni), Iva (170 milioni) e contributi previdenziali (120 milioni). La cifra precisa a oggi non è nota: all’ultima rivelazione al 30 giugno in Figc circolava un totale di circa 450-500 milioni per tutti i club professionistici, di cui ovviamente la stragrande maggioranza era riferibile alla Serie A. Negli ultimi mesi la somma potrebbe essere ulteriormente aumentata.
La solita favola della cicala e della formica: quest’estate tutti facevano mercato e nessuno si preoccupava dell’enorme bolla di debiti che si accumulava. Sotto sotto, erano convinti che non sarebbe mai scoppiata: da mesi erano ricominciate le pressioni ad ogni livello, ufficiale e non, per ottenere un’altra proroga. Prima sul governo Draghi, che dimissionario ha passato la palla poi al neo ministro Andrea Abodi. Uno che viene dal mondo del pallone e quindi – si tiravano di gomito i patron – dovrà per forza essere sensibile alle sue esigenze. Alla fine, il pressing ha avuto successo: l’emendamento che prevede il pagamento solo del 15% delle pendenze entro il 16 dicembre (o nemmeno quello) e sposta la nuova scadenza ai prossimi anni è pronto. Se si farà in tempo, sarà inserito già nel Decreto aiuti che dovrebbe arrivare oggi in Consiglio dei ministri, altrimenti alla prossima occasione utile. Un anno fa il provvedimento era a costo zero per lo Stato (il saldo era previsto comunque entro fine 2022), stavolta servono pure le coperture.
Non una partita semplice da gestire per il ministro dello Sport, che da una parte sa come la concessione sia quasi inevitabile (negarla significherebbe far implodere il campionato), dall’altra però non vuole nemmeno che il suo primo atto ufficiale sia un regalo al calcio, lasciando passare un messaggio sbagliato. Il provvedimento ovviamente varrà per tutte le società sportive, ma è chiaro che il grosso del debito riguarda la Serie A. Perciò Abodi vorrebbe porre una condizione: chi non paga i debiti non spende sul mercato. Una sorta di blocco dei trasferimenti che però è tecnicamente complicato: difficile da imporre per legge (riguarda l’ordinamento interno sportivo), bisognerebbe semmai giocare di sponda con la FederCalcio di Gabriele Gravina (con cui c’è un’ottima sintonia), che può vincolare la deroga sui pagamenti a un saldo attivo nella prossima sessione.
Sai che sacrificio per i patron: ormai quasi nessuno fa più mercato a gennaio. L’importante era scansare la cartella esattoriale. A parte i pochi che hanno i conti in ordine e continuano a pensare che permettere di non pagare le tasse significhi falsare la competizione (sulle barricate c’è soprattutto la Fiorentina di Rocco Commisso, che della regolarità finanziaria del torneo ha fatto una crociata purtroppo solitaria), gli altri stapperanno una bottiglia. In fondo, paga lo Stato.