la Repubblica, 9 novembre 2022
I dati su ciclisti e incidenti in Italia
Sì, certo, ogni incidente ha una storia a sé. E forse Luca, 14 anni, ha commesso un’imprudenza: ha “tagliato” i binari del tram. Ma gli ultimi vent’anni di strada dicono che l’Italia resta, nello spostarsi, non sostenibile, poco sicura. Che airbag interni e volumi esterni hanno più che dimezzato morti e feriti tra i guidatori d’auto, ma, parallelamente, le percentuali di lutti tra i pedoni e i ciclisti sono scese appena. Troppo poco. L’ultimo rapporto Istat spiega bene come da noi l’indice di mortalità per chi va a piedi, tre ogni cento incidenti, sia di 4,6 volte superiore alla mortalità degli occupanti di autovetture (0,7 su 100). Lo stesso valore è 1,8 volte più alto per i conducenti e i passeggeri di biciclette e monopattini (1,2 morti ogni 100 crash). Nel 2021, segnala sempre l’Istat, gli incidenti che hanno coinvolto bici e monopattini sono addirittura aumentati del 22 per cento causando 229 morti e 18.037 feriti.
«In Italia non c’è ancora un habitat che consenta spostamenti in sicurezza», sostiene il rapporto dell’European transport safety council, l’organizzazione con base a Bruxelles che si occupa di ridurre le vittime del trasporto. Il report ricorda come negli ultimi dieci anni, nell’intero continente, per gli spostamenti su strada siano stati uccisi 6.000 tra bambini e ragazzi.
Alessandra Bonfanti in Legambiente si occupa di mobilità dolce e dice: «Bisogna legare i piani sul traffico alla sicurezza stradale. Dobbiamo abbassare fortemente i morti sulle strade, a partire dagli utenti più fragili. Ci sono riusciti a Oslo e Helsinki, ce la possiamo fare anche a noi. Ispirandoci, per esempio, alla Spagna, che ha costruito una legge nazionale per istituire nelle città zone sempre più larghe a velocità trenta. Questo limite fissato per le auto abbassa dell’80 per cento la mortalità». È possibile, sostiene Bonfanti, che nell’incidente mortale di Milano ci sia stato un problema di visibilità, per esempio. È un fatto che servepianificare lo spazio stradale cambiando gerarchie: prima i pedoni e i ciclisti. «Oggi le strade sono luoghi di percorrenza ad alta velocità, invece devono diventare direttrici lente, isole pedonali, living street. Ci devono essere meno veicoli in giro, l’impatto delle auto sulle città deve diminuire». Chicane a rallentare i mezziusando i parcheggi, intende. Cuscinetti e rialzi a terra.
In questa nuova visione delle città e dei loro spostamenti, serve uno sviluppo coordinato e intelligente delle piste ciclabili: «Molte sono state costruite senza logica, partono dal nulla e arrivano al nulla, hanno curve cieche, intersezioni pericolose con il traffico automobilistico”» delinea Bonfanti. Le ciclabili devono portare agli snodi del trasporto pubblico, alle università, agli ingressi degli ospedali. «Le città, dopo 50 anni di automotive dispotico, devono iniziare a servire altre utenze. Gran parte degli spostamenti in auto oggi sono entro una distanza di cinque chilometri, il 90 per cento delle macchine è parcheggiato. Roma ha più auto che patenti».L’ingegner Marco Passigato è il coordinatore didattico del mini master dell’Università di Verona che forma esperti promotori della mobilità ciclistica e crede che una cultura dello spostamento dolce in Italia stia crescendo: «In questi anni la ciclabilità è aumentata e gli automobilisti si stanno abituando a convivere con i biker. Nei centri urbani il ciclista è sempre più l’uomo che ha fatto la scelta giusta, non ti porterà via il parcheggio e al semaforo non si piazzerà davanti a te. Ma i ciclisti morti in incidenti stradali restano troppi».
Anche per il professor Passigato, ciclista militante, le esperienze del Nord Europa devono diffondersi da noi. «Per una mobilità diffusa della bicicletta le piste ciclabili sono la soluzione giusta: corridoi sicuri dalla periferia al centro. Le superciclabili, larghe quattro metri, dove puoi tenere una media di 24 chilometri l’ora, stanno crescendo, ma devono crescere proprio le “zone 30”: là dove le auto vanno piano si possono creare corsie ciclabili più leggere, senza difese. Città trenta è la ricetta per l’Italia»