la Repubblica, 9 novembre 2022
Tutti gli affari tra Italia ed Egitto
Gas dell’Eni, aerei di Leonardo, navi militari di Fincantieri. E altro ancora. È fitta di sigle e cifre la lista della spesa che Giorgia Meloni ha portato con sé in Egitto. Nella versione più cinica della realpolitik, il faccia a faccia con al-Sisi potrebbe portare allo sblocco di una serie di commesse multimiliardarie: tutte trattative che erano iniziate già da tempo e sono rimaste congelate – ma mai definitivamente archiviate – da quella tragica notte del 3 febbraio 2016 quando il corpo martoriato del povero Giulio Regeni fu ritrovato ai bordi di un’autostrada alla periferia del Cairo. Ora qualcosa potrebbe cambiare.
L’affare più urgente riguarda il gas. L’Egitto non venne inserito nel frenetico tour alla ricerca di fonti alternative che prima dell’estate condusse il premier Draghi affiancato da vari ministri (Cingolani, Di Maio e altri) alla ricerca di forniture di gas alternative alla Russia: Angola, Algeria, Azerbaijan, Congo, Mozambico (dove andò perfino il presidente Mattarella). Ma fu solo una questione, opportuna, di rapporti diplomatici e politici. In realtà il filo diretto col Cairo lo ha tenuto direttamente l’Eni, che lavora nel Paese dal 1954 (Enrico Mattei era amico personale di Gamal Nasser ed ebbe un ruolo importante nella soluzione della crisi di Suez del 1956). Nell’aprile di quest’anno è andato il direttore generale Guido Brusco, in agosto lo stesso ad Claudio Descalzi. Risultato: già entro fine 2022 (a maggior ragione ora che i rapporti politici stanno cambiando) dal pozzo offshoreZohr IX nel Mediterraneo orientale arriveranno tre miliardi di metri cubi di gas liquefatto. Fornitura destinata probabilmente a crescere quando entreranno in funzione i due rigassificatori supplementari in Italia. Il giacimento di Zohr è stato peraltro scoperto dalla stessa Eni nel 2015, e la società italiana mantiene la concessione dello sfruttamento e una quota di azionariato. Tecnicamente, il gas che esce dal pozzo – di proprietà del governo del Cairo – viene attribuito all’Egitto e poi rivenduto a diversi clienti fra i quali ora entrerà, a prezzi di mercato, l’Italia. Ai prezzi attuali (115 euro a KwH che equivalgono a 1,1 euro per metro cubo) l’accordo vale, spiega l’esperto Davide Tabarelli, più di tre miliardi. Bisognerà vedere come andrà la quotazione dei prossimi vent’anni, tanta è la durata del contratto.
Ancora più articolata la possibile fornitura di aerei di Leonardo, anche qui legata a trattative che risalgono a diversi anni fa, quando il gruppo si chiamava ancora Finmeccanica. In ballo ci sono innanzitutto 24 jet da addestramento Aermacchi M-346 (ognuno costa 20 milioni di euro, quindi mezzo miliardo in tutto). Servono per addestrare i piloti dei caccia (ma possono essere anche a loro volta armati), e anche sul training per l’Italia ci sarà probabilmente qualcosa da guadagnare. Quali caccia? L’Egitto ha per ora 54 aerei francesi Rafale, ma sarebbe in trattative – secondo indiscrezioni che però faticano a trovare conferma – per comprare una flotta di Eurofighter, di cui Leonardo possiede una quota (del 60%) che da sola varrebbe tre miliardi di euro se il negoziato col Cairo andrà in porto. Infine, l’Egitto ha anche in corso una trattativa per comprare, sempre da Leonardo, quattro aerei di sorveglianza marittima Atr 72Mp, destinati dalla Marina del Cairo a pattugliarele acque territoriali. Quanto a Fincantieri, navigano ormai ufficialmente le due fregate Fremm consegnate all’Egitto (in sordina nel cantiere di La Spezia) fra dicembre 2021 e aprile 2022. Un affare da 1,2 miliardi. Le due navi in realtà erano già in servizio per la Marina militare italiana con i nomi Spartaco Schergat ed Emilio Bianchi, come ha spiegato in Parlamento qualche mese fa lo stesso ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ma sono state riconvertite per essere vendute e sostituite da altre navi più adatte alle nostre esigenze.
Tutti i contratti in questione sono pluriennali e contribuiscono quota dopo quota all’interscambio italiano con l’Egitto. Che conosce, stando alle cifre Sace, una fase di ristagno almeno sul fronte delle esportazioni dall’Italia: dopo una comprensibile pausa dovuta allo shock per il caso Regeni aveva ricominciato a crescere, addirittura del 27,2% nel 2020 fino a 3,1 miliardi, e di un altro 23,5% nel 2021 fino a 3,8 miliardi. Poi lo stop: le proiezioni Sace sono per un incremento del 2% quest’anno (fino a 3,9) e poi sostanzialmente più nulla fino al 2025. L’Italia ha ancora non più del 3,2% del mercato all’import egiziano, contro il 4,5 della Germania (ma l’1,9 della Francia). Il rischio politico rimane al 68%, ben oltre il livello di guardia, e colpisce nelle valutazioni della Sace l’87% attribuito al “rischio mancato pagamento controparte aziendale”. Ma l’inaspettato (e inquietante) embrassons nous di queste ore con al-Sisi forse modificherà la situazione.