il Fatto Quotidiano, 10 novembre 2022
La letteratura secondo Handke
Anticipiamo uno stralcio di “Appetito per il mondo” di Peter Handke, una raccolta di “saggi su letteratura, cinema e teatro”, finora inedita, in uscita domani con Meltemi.
La letteratura è stata per me a lungo lo strumento con cui crearmi un’immagine se non chiara, perlomeno più chiara di me stesso. Mi ha aiutato a maturare una consapevolezza di esserci, di essere nel mondo. A dire il vero avevo già sviluppato una consapevolezza di me stesso prima di iniziare a occuparmi di letteratura, ma è stata la letteratura a farmi capire che tale consapevolezza non era un caso unico, una coincidenza, una malattia. Senza la letteratura tale consapevolezza mi aveva colto per così dire di sorpresa, era qualcosa di terribile, vergognoso e osceno; lo sviluppo naturale mi pareva una deviazione morale, un’onta, un motivo di vergogna, perché mi credevo il solo a perseguirlo.
È stata la letteratura a rendermi consapevole di tale consapevolezza, a mostrarmi che non ero un caso unico, che anche ad altri capitava lo stesso. Lo stupido sistema educativo che i delegati dell’autorità di turno hanno adottato anche con me, come con tutti, non poteva più disporre veramente della mia persona. E così, di fatto, non sono mai stato educato dagli educatori ufficiali, ma ho sempre fatto sì che fosse la letteratura a cambiarmi. È stata la letteratura a interrogarmi, a cogliermi di sorpresa, a rivelarmi fatti di cui non ero consapevole, o lo ero solo in modo distratto. La realtà della letteratura mi ha reso attento e critico rispetto alla vera realtà. Mi ha illuminato su me stesso e su quel che accadeva attorno a me.
Da un’opera letteraria mi aspetto una novità, qualcosa che mi trasformi anche in minima parte, che mi renda consapevole di una possibilità non ancora pensata, una realtà non ancora consapevole, una nuova possibilità di vedere, parlare, pensare ed esistere. Da quando ho capito di poter cambiare me stesso con la letteratura, che la letteratura mi ha reso un altro, mi aspetto sempre da lei una nuova possibilità di cambiamento, perché non mi ritengo affatto immutabile. Dalla letteratura mi aspetto la distruzione di tutte le visioni del mondo che appaiono come tali. E poiché ho capito di aver cambiato me stesso grazie alla letteratura, e che solo con la letteratura ho potuto vivere in modo più consapevole, sono anche convinto di poter cambiare gli altri con la mia letteratura. Kleist, Flaubert, Dostoevskij, Kafka, Faulkner, Robbe-Grillet hanno cambiato la mia consapevolezza del mondo…
Da un po’ di tempo la letteratura che viene scritta non ha più niente a che vedere con me. Probabilmente perché mi trasmette solo cose note, pensieri noti, sentimenti noti, metodi noti, ovvero: pensieri e sentimenti noti, e questo perché i metodi sono noti. Non riesco più a sopportare una storia nella letteratura, per quanto colorata e fantasiosa essa sia, anzi una storia mi risulta tanto più insopportabile quanto più è fantasiosa. Preferisco ascoltare storie parlate, raccontate nel tram, in un pub, o vicino al camino. Ma non sopporto nemmeno più quelle storie in cui apparentemente non succede nulla. Questa incapacità di tollerare una storia ha sicuramente un lato emotivo; mi sono semplicemente stancato delle storie, della fantasia. Ma mi sono anche reso conto che la letteratura non è per me invenzione né fantasia. La fantasia mi sembra arbitraria, non verificabile, qualcosa di privato. Distrae, al massimo intrattiene, e proprio perché intrattiene soltanto non mi diverte nemmeno più. Le storie mi distraggono dalla mia storia reale, la finzione mi fa dimenticare me stesso, la mia situazione, mi fa dimenticare il mondo. Ma se una storia deve raccontare qualcosa di nuovo, allora mi sembra che il metodo di inventare una storia sia diventato inutile. In generale mi sembra che il progresso della letteratura consista in una rimozione graduale della finzione, in quanto inutile. I ponti stanno cadendo, le storie stanno diventando superflue, l’invenzione sta diventando superflua, mentre acquista importanza la comunicazione di esperienze, esperienze del linguaggio. A prima vista può quindi sembrare che la letteratura stia perdendo la sua qualità di intrattenimento, perché non esiste più una storia che fa da ponte con il lettore. Parto tuttavia dalla mia esperienza di lettore. Io non voglio dover “entrare” in una storia, non ho bisogno di camuffamenti per le frasi, a me interessa ogni singola frase. Il metodo del realismo, così come è in voga al momento, mi sembra esaurito…
Non ho soggetti su cui scrivere, ho solo un soggetto: ottenere maggiore chiarezza su me stesso, conoscermi o non conoscermi, capire cosa faccio male, cosa penso male, cosa penso in modo distratto, cosa dico in modo distratto, cosa dico in modo automatico, e cosa anche gli altri fanno, pensano, dicono in modo distratto; diventare attento e vigile, rendere gli altri più sensibili, ricettivi e accurati e diventarlo io stesso, anche affinché tutti possiamo esistere in modo più accurato e sensibile, affinché io possa comunicare e rapportarmi meglio con gli altri. Non posso essere uno scrittore impegnato perché non conosco un’alternativa politica (al massimo una anarchica) alla realtà, qui e altrove. Non so come questa realtà dovrebbe essere. Conosco solo dettagli concreti che vorrei fossero diversi, ma non riesco a formulare nulla di completamente diverso, di astratto. E del resto, come scrittore, non mi interessa neanche poi tanto farlo.