il Fatto Quotidiano, 10 novembre 2022
Intervista a Claudia Gerini
Un palco, il quartetto d’archi dei Solis, un po’ di follia (“Solo un po’? Direi tanta”). E soprattutto le canzoni di Franco Califano: è la sfida di Claudia Gerini con il suo nuovo spettacolo, Qualche estate fa, al Teatro Vittoria di Roma per la regia di Massimiliano Vado.
Perché il Califfo?
In realtà sono stati proprio i Solis a coinvolgermi: sono loro ad aver pensato a me per ragionare su una passeggiata nel mondo di Califano; per loro una donna avrebbe raccontato meglio di un uomo la magia dei suoi brani.
Come mai?
Intanto un uomo che canta il Califfo rischia di cadere nella sua imitazione, di perdersi nel confronto, quando nessuno si può avvicinare alla profondità di Califano.
Insomma, l’effetto karaoke.
Esatto; (sorride) poi quando qualcuno mi invita a ballare o a cantare, divento una donna felice.
Califano va anche un po’ recitato.
Per questo ho scelto un’interpretazione molto personale, in uno spettacolo costruito in maniera semplice: ci sono io, accompagnata da quattro archi e ogni brano è introdotto da un breve monologo, in cui ogni volta divento una donna diversa, dalla barbona alla prostituta fino alla mamma.
Lo ha mai conosciuto?
(Cambia tono) Sìììì; (pausa) un paio di anni prima della sua morte l’ho incontrato dietro le quinte di uno studio televisivo. Lui elegantissimo. Bellissimo.
Bellissimo?
Vabbè, nella sua interezza, nel suo essere così affascinante con quel viso da indiano; (cambia tono) appena mi ha visto è partito con i complimenti, con la seduzione e siccome a quel tempo collaborava con Federico (Zampaglione, suo ex compagno, ndr), e proprio Federico era vicino a me, lo ha guardato e bollato: “Aoh, ma come hai fatto a mettete co’ questa? Come ce sei riuscito?”.
Proprio Zampaglione racconta di Califano che piangeva davanti al tramonto: “Me commuove sempre”.
Aveva un’anima sensibile: certe storie personali, certe cadute in alcuni periodi, hanno intaccato la sua grande poesia.
Con l’interpretazione e la recita dei suoi testi cosa ha scoperto?
A volte mi commuovo, mi viene da piangere, in particolare con Roma nuda, Minuetto o La musica è finita: sento sempre un groppo alla gola.
Sono tre brani difficili.
Eh, lo so. Infatti sono matta, matta.
La vostra è un’operazione di recupero della memoria. Lei teme mai di venire dimenticata tra molti e molti anni?
(Sorride) Be’, avrebbero ragione, ci saranno altre attrici; (pausa) in realtà non ci ho mai pensato, però il cinema ti rende immortale, anche oggi si guardano film di cinquant’anni fa; (cambia tono, prende tempo) no, non ho questa angoscia, mi dimenticassero pure.
Per cosa verrà ricordata?
(Subito) Viaggi di nozze poi aggiungo La sconosciuta e La passione di Cristo; La passione è un film un po’ leggendario, visto in tutto il mondo.
Non ha menzionato Tapirulàn, suo primo lungometraggio da regista.
Lì mi sono lanciata, ed è andata bene, è stata un’esperienza super; (pausa) certo, sono stata un po’ un caterpillar.
Lo è?
Non mi ferma nessuno, ho un forte istinto di portare a casa la giornata, succeda quel che succeda; (pausa) sono tanti anni che sto nel mondo dello spettacolo e per fortuna conservo la voglia di mettermi in gioco.
Torniamo a Califano: come ha scelto i pezzi?
Selezionati dai Solis, ho aggiunto solo Roma nuda. E sono tutti dedicati alle donne o scritti per loro.
Ne era un gran conoscitore.
Ci ha raccontato meglio delle donne stesse.
Come starà prima del sipario?
Ogni volta mi racconto che in sala c’è un pubblico che ha scelto di uscire di casa, di spendere soldi e tempo per stare a teatro. E che devo ricompensarlo.