la Repubblica, 10 novembre 2022
Intervista a Ron
Ron è uno dei più grandi esponenti della canzone d’autore italiana.
Quindi se lui, da 55 anni sulle scene, dice che l’era degli album, quelli che un tempo chiamavamo dischi, è in qualche modo finita e forse lui stesso non ne farà più, bisogna prestargli attenzione. «Adesso ragiono per canzoni, non per album, la gente lo streaming lo usa come un juke-box, ascolta la canzone che vuole e di tutto il resto non gli interessa nulla. Il mondo è cambiato e anche io. Mi piace l’idea di lavorare su singoli brani, ognuno ha una sua vita». Nonostante la lunga percorrenza sulle strade della canzone, è sempre stato attento a cosa cambia nel mondo della musica. Lo ha fatto da giovanissimo, negli anni Settanta dei cantautori, poi quando ha cambiato la canzone d’autore, prima come “music maker” di De Gregori e Dalla in Banana Republic ,poi da solista. Lo ha fatto vincendo Sanremo e altri premi, dominando le classifiche come autore di Attenti al lupoe consentendosi, unico fra i cantautori, di essere talmente contemporaneo da fare un disco con brani di Badly Drawn Boy, Alexi Murdoch, Ben Howard, Damien Rice e John Mayer. Non fare più album segna un cambiamento radicale, una rottura con i vecchi schemi della canzone e della discografia. Questo nuovo e forse ultimo album, Sono un figlio ,non fa altro che ribadire la sua bravura come autore, interprete, musicista. Un album limpido e brillante, in cui si racconta con sincerità straordinaria.
Perché fare un ultimo album ora?
«Ron nel 2022 si mette a lavorare, non capisce tante cose che stanno succedendo e decide di rompere con tutto quello che rende inutile la musica. Questo è Ron oggi, un autore che parla di sé, di suo padre, della sua vita, cosa che non ha mai fatto. E dato che ama la musica infinitamente, non vuole rompersi i coglioni o affaticarsi per quello che alla musica non serve».
Qualcosa, dunque finisce?
«Sì, finisce il pensiero di dovermi incavolare se un album non va come vorrei. Mi potrò concentrare meglio sulle canzoni. Niente fretta né ansia, mi riprendo i miei ritmi. È un Ron diverso, che ha aperto una finestra e fa entrare aria nuova. Ma non sono arrabbiato, non mi ritiro:cerco di essere più in sintonia con il mondo che cambia e allo stesso tempo con il mio cuore. Però resto Ron, non faccio jazz o r&b ma sono attento ai mondi che nascono».
Che effetto le fa la nuova scena italiana?
«È qualcosa che doveva arrivare per forza ed è arrivato. Questo passa attraverso una cancellazione di quello che i cantautori sono stati e continuano a essere: vengono un attimo messi da parte, e questa cosa mi fa male. Siamo vivi e in buona forma, non è che perché ho settant’anni non riesco a scrivere canzoni o andare in bicicletta. Ma fai fatica a far tutto, non solo io ma tanti miei colleghi, anche cantautori importanti che non vengono più trasmessi in radio. Ci hanno messo una croce sopra. La scusa è quella di non essere in linea con la programmazione. Sono stati cancellati, per cui tutto quello che arriva da loro con sofferenza e passione, entra da un orecchio ed esce dall’altro».
Questo diverso modo di vedere le cose e di lavorare cosa le ha fatto scoprire?
«Da una parte la scoperta della lentezza: ho uno studio di registrazione mio al di là del mio cortile, lavoro con gli amici o quelli che stimo. Durante la pandemia con lo streaming ho ascoltato migliaia di pezzi, alcuni meravigliosi, e quando sento una cosa che mi piace io sono pronto a ricominciare da capo».
“Sono un figlio” contiene grandi canzoni, ma è un album in cui la sua anima di musicista viene esaltata.
«L’anima di musicista l’ho sempre coltivata, scrivo sempre prima la musica, addirittura dopo che ho scritto la melodia comincio a pensare a un arrangiamento che porta a trovare dei suoni nuovi, o perlomeno non usuali.
E questi suoni mi spingono a raccontare una storia, un testo che a quel punto diventa importantissimo perché è importante la musica, è lei che chiama le parole».
Insomma, cinquantacinque anni dopo Rosalino Cellamare vive ancora per la musica?
«Credo di sì. Vivere per la musica è fondamentale, vuol dire che sei sincero, che quando scrivi lo fai per te e anche per gli altri. Ho sempre creduto in questo e finché potrò far ascoltare la mia musica sarò felice».