la Repubblica, 10 novembre 2022
Chiara e gli abusi anche nella danza
Grazia, bellezza, magrezza. Come la ginnastica, anche la danza classica ha le sue regole di ferro e le sue vittime. Una di loro, Chiara Chillemi, ha deciso di raccontare la sua storia. «L’esplosione del caso nella ritmica mi ha spinto ad aprirmi. Perché tutti sappiano». Romana, 27 anni, Chiara ha frequentato dai 10 ai 15 anni l’Accademia nazionale di danza, una delle più importanti istituzioni coreutiche in Italia. «Ero in quinta elementare. La danza è stata il primo amore della mia vita. Entrata lì per la prima volta, sorrisi a tutta la classe, ma mi accorsi che nessuna aveva ricambiato il mio sorriso. Né le compagne, né l’insegnante, che si lamentò con mia madre: ero una bambina che rideva troppo».
Presto le insegnanti iniziarono a misurare le ragazze con lo sguardo: «Il peso è il tarlo che ti mettono in testa. Ci valutavano con uno sguardo. E con l’età dello sviluppo le cose sono andate anche peggio. Il seno era diventato un problema. Le più formose venivano fasciate per nasconderlo e perché credevano che fasciarlo avrebbe impedito il suo sviluppo. Io ero una bambina già sottopeso, ma avevo un quadricipite da sportiva. La mia insegnante iniziò a tartassarmi, voleva che dimagrissi a tutti i costi».
La lotta tra Chiara e il suo corpo si fa a quel punto serrata. «Durante gli allenamenti avevo capogiri, svenimenti. Mi fermai perché il mio corpo non riusciva a “togliersi” altro. L’anoressia era a un centimetro da me. A mensa prendevo il minimo indispensabile, sempre insalata. Una delle insegnanti, che girava tra i tavoli per spiare nei nostri piatti, una volta mi disse “brava”. Andavo al bagno e sentivo le ragazze vomitare».
«Quando non sono più riuscita a dimagrire» prosegue Chiara, «ho iniziato provocarmi il vomito. Il momento più brutto arrivò un 23 dicembre, davanti a un vassoio di lingue di gatto. Le insegnanti ci misero in fila: le più magre ne avrebbero avute due, altre una, altre ancora nessuna. Una mia amica, magra ai limiti del ricovero, ne ebbe due. Io non ne “meritai” nessuna. E questa cosa provocò in me un senso di profondissima umiliazione». A un certo punto Chiara va in amenorrea: «Non ho avuto il ciclo per un anno e ho iniziato a gonfiarmi di liquidi e zuccheri». Ed è costretta ad ascoltare qualcosa di incredibile: «A una mia compagna l’insegnante disse che avrebbe dovuto fare sesso con il suo partner di passo a due per rendere più empatico il balletto. Un’altra insegnante mi fece intendere che forse era arrivato il momentoper me, il momento che avessi rapporti sessuali. Mi alterai verso di lei e le dissi “ma come si permette?”».
Chiara resiste cinque anni, poi lascia l’Accademia e passa prima al Balletto di Roma poi al Teatro Greco. Infine, l’addio a scarpette e sogni. «Ho ancora oggi delle cisti ovariche che attenuo con la pillola anticoncezionale. Ai miei genitori non ho detto nulla fino al 3° anno di liceo, ma si accorgevano di quanto stessi male. Mio fratello, oggi specializzando in psichiatria, iniziò allora a cercare per me articoli scientifici. Mi mise paura e iniziai a riconoscere che c’era un problema. Nel mondo della danza sei chiuso in una bolla che è un focolaio di malattie fisiche e psicologiche. Ma una ballerina, o un’atleta, non può crescere come un malato di mente». Chiara, che affronta da anni un percorso psicoterapico, con ansiolitici e antidepressivi, oggi è laureata in biologia e si sta specializzando in nutrizione e dietologia clinica. «È il mio riscatto personale. Voglio che tutto cambi, che cada l’omertà. Voglio che, se dovessi avere una figlia, lei abbia la serenità di poter decidere di diventare una ballerina. Questi ambienti hanno bisogno dell’inserimento di psicologi e nutrizionisti che facciano crescere gli atleti. L’arte deve elevare lo spirito, non affossarlo».